Giovanni AA – “Creo per emozionare e emozionarmi”

Giovane, molto educato, e sempre sorridente… Giovanni AA. Le due A stanno per Alessi Anghini e appartengono alla quarta generazione di Alessi, una delle più importanti ‘fabbriche del design italiano’. Giovanni è il più grande di 4 fratelli, Luca, Francesca e Tommaso, è il più creativo, possiede una ‘folle’ sensibilità, ed è l’unico dei 4 che ha deciso di progettare per il brand che porta il suo nome. Scelta affatto scontata, perché il marchio Alessi, che dell’articolo casalingo fa da sempre scuola in tutto il mondo, non guarda in faccia a nessuno nella scelta di coloro che lo rendono unico e inconfondibile. Lo conferma il fatto che l’ultimo a progettare per l’azienda di famiglia è stato il nonno Carlo fino al 1945 con la sua ‘bombè’, dopo di che i designer sono sempre stati esterni.

Il suo percorso verso la progettazione è partito dall’Università di Firenze, quando seguiva corsi di sociologia e antropologia, denotando da subito un forte interesse all’aspetto umanistico nella relazione con gli oggetti e alla relazione affettiva che con essi si crea. Philips, Vitra, Alessi; seppur molto giovane, sfoggia già un palmares di tutto rispetto.  Una delle sue prime creazioni, il POP UP, uno stappa bottiglie ‘magico’, dalla curiosa forma fluida, ispirata ad una goccia d’acqua, vincendo il Good Design Award è entrato a far parte della collezione permanente del museo d’arte ed architettura, “The Chicago Atheneum”.

Quando ha capito che da grande avrebbe fatto il designer?
Veramente non mi considero un designer nel classico modo di intendere questa figura professionale … mi sento più un apprendista. Imparo ed utilizzo il mestiere del progetto per far venire a galla e coinvolgere chi entra in contatto con il mio mondo, la mia sensibilità nei confronti di ciò che mi accade anno dopo anno.
Secondo, non sono ancora grande, lotto continuamente per non diventarlo! I grandi hanno strutture complesse attraverso le quali leggono il mondo, io cerco costantemente, e con metodo, di destrutturare il modo con cui interagisco ed interpreto il mio mondo, cercando quasi di entrare in contatto con l’aspetto magico, umile ed emotivo di quello che vedo, sento e provo. Poi certo, una volta fatte affiorare tutte queste sensazioni, cerco di tradurle attraverso gli oggetti per poterle rendere comprensibili anche ai grandi.
George Bernard Shaw diceva: “Non smettiamo di giocare perché diventiamo grandi, diventiamo grandi perché smettiamo di giocare” … ci credo fortemente, e credo anche che in fondo non sia necessario smettere di giocare per diventare grandi e cavarsela in questo mondo… io ci provo e tra qualche anno vi faccio sapere!

E quando ha deciso di farlo per il marchio di famiglia?
ALESSI è stato ed è tuttora una realtà (una delle poche rimaste valutando le mie esperienze fatte fin ora), dove posso continuare ad esplorare quello di cui ti ho parlato sopra, tenendo ben presente la relazione con il mercato, che è l’elemento che in fondo giustifica e supporta l’attività di progetto di cui sono appassionato.

Qual è per lei il miglior modo per apprendere? .
Per quanto mi riguarda ho sempre imparato le cose non tanto sui libri, piuttosto sbattendoci la testa e provandomi sul campo direttamente.
Credo che esistano due tipi di persone, quelle caute, che studiano bene sui libri come quando si deve imparare a nuotare, sperano di non sbagliare o di sbagliare il meno possibile una volta entrati in acqua, ecco, io sono l’opposto… mi butto in acqua, stando attento a farlo dove tocco o quasi, mettendomi nella condizione di dover imparare, pena l’annegamento. Cerco metodicamente l’errore e mi espongo volentieri a rischi e giudizi. Sono convinto che le lezioni più importanti arrivino dagli errori e non c’è come farli di propria iniziativa, assumendosene la responsabilità, e provare se stessi per imparare sia come funziona il proprio mondo, sia come si è fatti intimamente.

Ha vissuto un anno ad Hong Kong, sei mesi a Basilea, è sempre in giro per il mondo a caccia di lavoro o di ispirazione?
Cerco di viaggiare il più possibile, non tanto per cercare lavoro, quello, quando uno è appassionato di ciò che fa e ci dedica tutto se stesso arriva, ma cerco il contatto con gente nuova e storie nuove, solo così riesco a guardare gli stessi argomenti con prospettive differenti. In confidenza (sorride, ndr.) il mestiere che faccio, lo faccio proprio per darmi la possibilità di emozionarmi e buttarmi in nuove avventure, per poi far si che quello che raccolgo nei miei viaggi si trasformi in lavoro in grado di riproporre le stesse sensazioni a chi si relaziona con il mio lavoro.

Che cosa significa lavorare per uno dei marchi più famosi al mondo dove hanno lavorato e lavorano designer altrettanto famosi?
Questa medaglia ha due lati ben chiari ai miei occhi. Da un lato è un enorme opportunità, in quanto collaborare con aziende come Alessi e con chi al suo interno ha fatto maturare la cultura del progetto e dell’industria dell’eccellenza è un esperienza unica ed irripetibile. La vivo come una vera esperienza illuminante, difficile da descrivere, rischierei di farti stare con me un giorno intero a parlarne…
Dall’altro lato è un enorme responsabilità. Significa sedersi a un tavolo su cui si stanno discutendo da diverse decine di anni, non solo questioni di mercato e di business, ma vere e proprie questioni profondamente umanistiche e sociali… Queste aziende come Alessi hanno il grande dono di esplorare la contemporaneità, il ruolo degli oggetti nella società dei consumi ed esplorare l’immaginario del grande pubblico. In nessun altro caso e in nessun altro mercato ho potuto ad oggi disquisire di questioni di questo tipo. Quello che sappiamo fare in Italia è davvero qualcosa di unico!

Creare per Alessi significa rispettare delle linee guida oppure ha totale libertà?
Quando si lavora con Alessi in particolare , ma con le fabbriche del Design Italiano in generale, si è immersi in un contesto di completa libertà di pensiero e di approfondimento dei temi che toccano le rispettive sensibilità dai progettisti. Certo, esistono vincoli dettati dall’ecosistema delle aziende con le quali si collabora (intendo vincoli di tipologie di prodotti e di canali distributivi), ma è proprio attraverso quei vincoli che si riesce a far affiorare il genio, sia nell’ambito di progetto che nell’ambito di industria.

Che tipo di design è il suo?
Difficile da dire ad oggi. Cerco di avere un approccio fondato su una progettazione umanistica, ma sono ben lontano dal riuscirci, in fondo ho appena cominciato la mia avventura attraverso questo mestiere… E poi c’è da sottolineare che disegnare oggetti è uno degli strumenti con cui si può approfondire il nostro tempo, non è detto che il mio futuro non mi riservi altri ruoli nel mondo del progetto. Fatto salvo però che il mio più profondo interesse ‘siamo noi’, la nostra società contemporanea, spero di arrivare alla fine della mia avventura ed essere stato in grado di sollevare quesiti che hanno alimentato la discussione che si sta facendo attorno ai tavoli su cui si discute l’industria, il progetto, la società. Ne approfitto per sottolineare un punto fondamentale del mio approccio al progetto. Non sono interessato alle risposte, quello che più mi incuriosisce è la capacità di porsi domande e la qualità delle domande che vengono poste. Le risposte spesso le lascio ad altri ben più bravi di me nel darle.

Design di stile o funzionale?
Nel mondo del prodotto per l’industria la funzione non può essere trascurata ovviamente. Sono interessato sempre di più a quella ambigua relazione che c’è tra l’oggetto e la sua funzione affettiva, più che alla funzione “pratica” o “meccanica”. Lo stile per me è solo lo strumento attraverso il quale cerco di far venire a galla i pensieri e le sensazioni provate durante l’esplorazione del ruolo affettivo degli oggetti. E’ innegabile che gli oggetti che ci circondano hanno il grande potere di farci leggere il mondo che ci circonda con nuovi occhi e dandoci nuove emozioni. Credo che gli oggetti siano una delle più importanti opportunità transizionali del nostro tempo, non c’è come comprendere il loro potere magico per innamorarsi di questo mestiere.

Se dico rivoluzione dell’illuminazione, cosa le viene in mente?
Leggo chiaramente un invito a parlare di ALESSILUX! Sbaglio?

Non sbaglia…
ALESSILUX è uno dei progetti più interessanti che ho affrontato negli ultimi anni. Ho avuto la grande opportunità di ragionare su una tipologia di prodotto al centro di grandi discussioni generazionali e sociali, ovvero l’energia e le fonti di luce, quali le lampadine. Utopisticamente il mio desiderio è stato quello di esplorare l’immaginario alla ricerca di una relazione affettiva con le fonti luminose, cercando di create una relazione affettiva tra il prodotto lampadina e il pubblico che, obbligato dalle nuove normative in materia di risparmio energetico, si è trovato a dover scegliere tra fonti luminose classiche o già conosciute (alogene, fluorescenti compatte, ecc..) e i LED.
Tra tutte queste tecnologie, i LED rappresentano quella con il minor impatto sul nostro ecosistema, perciò un’esplorazione delle emozioni legate alla luce attraverso la forma della fonte luminosa stessa mi è sembrato non solo un percorso di progetto corretto da approfondire, ma anche un dovere non legato al mercato, ma al tentativo di sedurre il largo pubblico nell’utilizzare fonti luminose in grado di ridurre dell’80% i consumi energetici oltre che ad acquistare un bene durevole. Basta pensare che le lampadine ALESSILUX hanno una vita superiore ai 25 anni.

E se dico GAA design Farm?
Anche se cerco di non essere sentimentalista mi emoziono. GAA Design Farm è stato il mio primo tavolo attorno al quale mi sono seduto con diversi giovani progettisti a discutere del nostro mestiere, della relazione con l’industria e con il largo pubblico.
Abbiamo approfondito temi ancora molto caldi nel mondo del progetto, e continuiamo a farlo anche se, come tutte le cose, questo nostro tavolo è maturato e mutato, sia rispetto a chi ci è seduto sia rispetto ai temi trattati.
ALESSILUX, per fare un esempio, è stato uno di quei temi ed argomenti di approfondimento nati con il gruppo di ragazzi con cui ho affrontato GAA Design Farm nei primi anni della mia avventura professionale.

Le piace l’associazione al ‘momento powerfull’ di Gilt Magazine?
Mi piace si, e lo associo ad un contesto “emotivamente powerful”, dove poter far affiorare tutti quegli aspetti che creano stupore e sensazioni magiche. Mi parlavi di powerfull winter: ecco, l’inverno non ha solo bisogno di “power” inteso come calore ed energia, ma si porta con se tutta una serie di emozioni e valori legati all’inverno, come la famiglia, gli affetti, il gioco, i sogni per l’anno nuovo… ecco… questo per me è il vero potenziale di un “powerfull winter”.

Da grande vorrebbe essere come…? E ora com’è?
E chi lo sa… il futuro lo guardo, ma con un po’ di diffidenza. Preferisco non concentrarmi troppo sul futuro altrimenti mi perdo il presente!
GAA Design Farm
www.gaadesign.net
(di Marianna Morandi)

 

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