L’ “Occidente solitario” di Santamaria e Nigro

 

“Non c’è niente di più comico dell’infelicità”, diceva Samuel Beckett e proprio in questa frase è racchiusa l’essenza di “Occidente solitario”, la commedia noir in scena al Tieffe Teatro Menotti fino al 10 febbraio con la regia di Juan Diego Puerta Lopez.

L’autore è Martin McDonagh, pluripremiato commediografo inglese di origine irlandese e regista del film “In Bruges – La coscienza dell’assassino”, che propone un testo forte, dal linguaggio crudo, spesso volgare che potrebbe urtare la sensibilità di qualcuno e per questo rischioso, ma perlomeno non lascia indifferenti e riesce persino a divertire grazie al tono grottesco che trapela in ogni battuta.

A Claudio Santamaria e Filippo Nigro spetta l’arduo compito, perfettamente riuscito, di rendere in qualche modo simpatici due personaggi per nulla accattivanti, che il pubblico non può amare in nessun momento, ma che non abbandona fino alla fine e che può anche comprendere nonostante la loro brutalità. A tal proposito, azzeccata è l’associazione di Santamaria: “Faccio sempre questo paragone: mi ricorda un po’ la vecchia commedia all’italiana che aveva la capacità di farti sorridere di cose veramente terribili come ne “I Mostri” con Vittorio Gassman o, penso a “Parenti serpenti” di Monicelli”.

L’intera vicenda ruota intorno a due fratelli: Coleman e Valene, due disadattati, due eterni bambini che nonostante giochino a massacrarsi, a vendicarsi e a ricattarsi, regredendo di scena in scena, non possono fare a meno l’uno dell’altro perché paradossalmente l’unico modo che conoscono di volersi bene, di dimostrare affetto, è proprio odiarsi. Del resto sono cresciuti con un padre ubriacone e rozzo e violenta è la realtà in cui vivono, un paesino della provincia irlandese dove omicidi e suicidi sono all’ordine del giorno, dove si respira quotidianamente rabbia, risentimento, cinismo, dove i buoni sentimenti sono tenuti ben nascosti o addirittura totalmente assenti.

L’ambientazione principale è il salotto di casa dei protagonisti e ciò che salta subito all’occhio è la quantità di statuine religiose disseminate un po’ ovunque, oltre a una grande “V” segnata di rosso su ogni mobile e parete. Già da queste stranezze si evince la personalità problematica, disturbata e maniacale di Valene che colleziona oggetti sacri e con la propria iniziale vuole sottolineare al fratello le sue proprietà, il quale lo stuzzica di continuo mangiando le sue patatine o peggio rovesciandogliele in testa, cuocendo nel forno le sue statuine e altri dispetti di vario genere. Immancabile è la bottiglia di whisky bevuto come se fosse acqua, non solo dai fratelli, ma anche da Padre Welsh (interpretato da Massimo De Santis), un prete dalla fede vacillante che vorrebbe essere d’aiuto ai suoi parrocchiani e soprattutto ai due uomini affinché pongano fine alle loro stupide liti, ma che perderà miseramente la sua battaglia e travolto dal fallimento si toglierà la vita. A nulla servirà il conforto della giovane Mary, chiamata da tutti “ragazzina” (Azzurra Antonacci, che sostituisce in questa seconda stagione Nicole Murgia) che spaccia a domicilio alcool di contrabbando, innamorata di Padre Welsh e molto più saggia, a dispetto dell’età, di quanto potrebbe sembrare. Particolarmente intenso è l’ultimo faccia a faccia tra i due sul molo, appena prima dell’insano gesto del prete che congeda la ragazza con un tenero bacio sulla fronte consegnandole una lettera destinata ai due fratelli nella quale li prega di salvare la sua anima, condannata a bruciare fra le fiamme dell’inferno, perdonando a vicenda i torti subiti e imparando ad andare d’accordo. Così, in un primo tempo, cercheranno di fare i due in virtù di quel foglio di carta che Valene appende sotto il crocefisso che, simbolicamente, viene illuminato per ricordare le parole dell’amico scomparso, ma tutto si trasforma in una sorta di gara a chi rivela lo sgarbo maggiore, le scuse, quindi, non saranno mai realmente sincere e, andare a bere al pub è l’unica soluzione per interrompere l’ennesima lotta…almeno per qualche istante!

L’autore si limita a rappresentare la vita di queste persone senza esprimere alcun giudizio morale. Aspra è, invece, la critica verso un certo bigottismo cattolico; si accenna infatti al problema della pedofilia dei preti irlandesi e al fatto che si può uccidere anche venti persone, ma se poi ci si pente si può aspirare comunque al Regno dei Cieli, mentre se ci si suicida si precipita inesorabilmente all’inferno come spiegherà Padre Welsh.

“Occidente solitario” una pièce che, nonostante tutto, rimane nel cuore e che i due protagonisti sono ben contenti di interpretare: “È un testo che ho adorato dalla prima lettura – racconta Filippo Nigro – ero convinto che fosse un bel testo e lo sono ancora”.

 

 

Tieffe Teatro Menotti
Via Ciro Menotti, 11, Milano

dal 29 gennaio al 10 febbraio
martedì, giovedì, venerdì e sabato alle ore 21:00
mercoledì alle ore 19.30
domenica alle ore 17:00
I biglietti sono acquistabili direttamente alla biglietteria del teatro e online.

 

 

(di Giulia Bellini)

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