La mostra Stop Painting: la pittura è in pericolo?

É il mondo della pittura, e la sua possibile messa in crisi, il soggetto principale della mostra curata da Peter Fischli in Fondazione Prada

Peter Fischli a Venezia dal 22 maggio al 21 novembre 

Dal 22 maggio al 21 novembre 2021 sarà possibile visitare Stop Painting. La mostra, curata da Peter Fischli, avrà luogo nella sede veneziana di Fondazione Prada, a Ca’ Corner della Regina. Le oltre 110 opere mettono in luce diversi momenti di crisi che la pittura ha vissuto nel corso degli ultimi 150 anni. E noi siamo dunque i testimoni dell’ennesimo sconvolgimento pittorico?

Un caleidoscopio di gesti ripudiati

É il mondo della pittura, e la sua possibile messa in crisi, il soggetto principale della mostra curata da Peter Fischli in Fondazione Prada. In occasione della Biennale di Architettura di Venezia, infatti, lo storico palazzo Ca’ Corner della Regina riapre le porte al pubblico. E ad affacciarsi sul Canal Grande è una mostra nata da alcuni interrogativi che si è posto l’artista svizzero.

Tra questi, quello relativo alla possibilità che un ennesimo cambiamento culturale e tecnologico possa mettere in pericolo il mondo pittorico odierno. Negli ultimi 150 anni sono stati cinque i momenti di rottura radicale che hanno minacciato la pittura a causa di fattori sociali e culturali. Momenti che hanno portato al rifiuto e alla reinvenzione del dipinto.

Fischli stesso definisce il proprio progetto un “Caleidoscopio di gesti ripudiati”, una commistione di oltre 110 opere e circa 80 artisti divisi in 10 sezioni. Sezioni ben visibili nella riproduzione in scala della mostra, realizzata dall’artista, che precede la visita del museo. Una vera e propria “Scultura di una mostra di pittura”.

E di scultura si può parlare perché il percorso, ripudiando un classico ordine cronologico, abbraccia l’interpretazione personale e artistica di Fischli nella disposizione dei lavori. E anche il contrasto tra l’allure moderna delle pareti bianche con quelle affrescate della sala centrale del primo piano nobile rispecchia il tema della mostra. Un contrasto che nasce per l’appunto tra il diffondersi di fotografia, readymade e mercificazione culturale di massa e la pittura. 

Oltre all’opera site-specific di Fischli e a quelle appartenenti alle varie sezioni, un’ulteriore selezione di lavori occupa poi vari spazi di Ca’ Corner della Regina. Tra questi, la produzione artistica di Theaster Gates, Wade Guyton, Bruce Nauman e Lawrence Weiner arricchisce il piano terra, il cortile e le scale. 

Rifiuto e reinvenzione di un’arte secolare

A dare avvio alla sequenza di punti di rottura del mondo pittorico è la nascita della fotografia, verso metà Ottocento. Un’innovazione che portò il pittore Paul Delaroche a pronunciare la fatidica sentenza “Da oggi la pittura è morta”. Persa quindi la propria funzione mimetica, l’atto pittorico viene affiancato da un metodo altrettanto valido di rappresentare la realtà con precisione.

A seguire, con l’avvento del ready made e del collage, la pittura viene costretta a uscire dalla tela per riempire lo spazio e gli oggetti circostanti. Due duri colpi alla tradizione insomma, a cui si sono aggiunti nel tempo la messa in discussione dell’idea di autorialità e la mercificazione della pittura.

Come ultimo punto di rottura può poi essere presa in considerazione la crisi della critica nella società tardo capitalista, dagli anni ‘80 in poi. 

Ognuna delle dieci sezioni in cui è divisa la mostra si riferisce a un tema chiarito dallo stesso Fischli in una serie di testi esplicativi. Tra queste, la prima sezione “Delirium of Negation” si rifà all’asserzione del critico John Kelsey “la fine della pittura non può che essere una ripetizione”.

La seconda invece, intitolata “Mensch Maschine”, mette in discussione la figura dell’artista e la soggettività del suo operato. Il prodotto artistico rischia dunque di confondersi con gli oggetti della quotidianità.

Al tema “Niente da vedere niente da nascondere” appartengono invece le opere di artisti come Carla Accardi, Walter De Maria e David Hammons. Distruggendo o trasfigurando l’immagine del proprio lavoro evitano che il fruitore possa farne un feticcio. 

Le opere di “Word Versus Image” sottolineano invece la relazione tra parole e immagini tipiche della pittura del XX secolo. Come nell’operato di Pino Pascali in mostra, la parola diventa uno dei soggetti da riprodurre in un quadro. Nella sezione “When Paintings Become Things” si ha invece a che fare con rappresentazioni tautologiche di elementi reali e ordinari oggetti che divengono opere d’arte.

In “Spelling Backwards” si tenta di comunicare l’inesistenza di una “essenza” della pittura. In “Die Hard, Stirb Langsam, Duri a morire” le opere riflettono la nostalgia per l’atto pittorico e la pittura figurativa nello specifico. Testimoni ne sono le opere di Marcel Broodthaers, Asger Jorn e Kurt Schwitters. 

In linea con la critica alla mercificazione dell’arte e i movimenti di protesta politica e sociale nasce la sezione “Let’s Go and Say No”. Di questa fanno parte Boris Lurie, con la sua serie di quadri intitolata “No”, e l’arte autodistruttiva di Gustav Metzger. Ma anche i famosi tagli di Lucio Fontana e l’opposizione di Henry Flynt ai musei d’arte.

E sempre di opposizione all’atto artistico si parla nella sezione “Next to Nothing”. Le opere qui raccolte, con l’estrema essenzialità di monocromo, tele bianche e sporadici segni di colore, è come se ridicolizzassero l’atto pittorico in sé. A darne esempio visivo è l’arte bidimensionale di Martin Barré, Francis Picabia e Blinky Palermo e quella tridimensionale dei “pours” di Lynda Benglis. 

A mettere in discussione l’autorialità dell’arte sono le opere, tra le altre, di Marcel Duchamp, Sturtevant, Ben Vautier e Andy Warhol. Nella serie “Readymades Belong to Everyone” infatti, la quotidianità e gli oggetti di cui essa si costituisce sembrano appartenere allo stesso universo dell’arte.

Tutto è vita, tutto è arte, o non lo è? Il volume illustrato che accompagna la mostra Stop Painting, pubblicato da Fondazione Prada, vi permetterà di continuare a rifletterci anche fuori dalle mura del museo. Oltre all’intervista a Mario Mainetti, curatore della mostra, esso include anche i saggi di Diedrich Diederichsen, Eva Fabbris e Arthur Fink. Ma anche dello stesso Peter Fischli, Mark Godfrey, Boris Groys, John Kelsey, Sarah Lehrer-Graiwer e Hanna Magauer. 

Inevitabilmente, la riflessione sul destino dell’arte e della pittura nello specifico è tra i quesiti riguardanti il futuro dell’umanità. Potrà essere l’odierna rivoluzione digitale un ulteriore momento di crisi o potrà contribuire a un sorprendente e contemporaneo rinnovamento dell’atto pittorico?  

Chi vivrà, vedrà. 

di Greta Masè

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