Rischio di morte e possibilità di rinascita (2° parte)

Il rischio di morte non porta solo depressione, ansia e senso di impotenza. Sotto alcune condizioni può segnare la rinascita del soggetto. È una possibilità della quale vorrei offrire, con colui che chiamerò Maurizio, un esempio prezioso.

Quando Maurizio mi chiama per concordare un appuntamento dice che ha aspettato tanto. Ha il mio numero da diversi mesi, ma qualcosa per gli “impediva di farsi sentire”. Riflette sul quella che definisce una contraddizione del suo comportamento; lui di tempo, forse, ne ha davvero poco e non può permettersi di sprecarlo. Sento una preziosa tensione a mettere in parola qualcosa che per lui è davvero importante e per non lasciar dissolvere la sua domanda nell’inibizione a cui ha fatto chiaro cenno (qualcosa gli impediva di farsi sentire) chiudo rapidamente la conversazione confermando tempo e luogo dell’incontro. Maurizio ha  46 anni, lavora nel settore della comunicazione, è vestito in nero, porta i capelli molto corti e ha avuto il cancro. Chiede un aiuto psicologico perché si sente depresso; la malattia non è l’unica causa della sua sofferenza. Suo padre è morto da circa un anno; sua madre rimasta sola nella grande casa di famiglia ha bisogno del suo sostegno. Poco prima dell’esordio della malattia Maurizio ha deciso di concludere la relazione, più che decennale, con la sua compagna di vita. Ancora, e non credo sia irrilevante, da poco è mancato anche il suo vecchio e fedele cane Argo. È  solo qui che gli occhi gli si arrossano di pianto; associa ad Argo il ruolo di guida fedele, fiuto, contatto con la natura. Nel panorama di abbandoni e separazioni che ha dominato la seduta si apre uno spazio vitale; parla delle sue camminate in montagna, della bellezza delle stagioni, delle serate in baita, della capacità della natura di trasformarsi e ricrearsi. Chiudo qui la nostra prima seduta lasciandolo andare via con questo desiderio di vita.  Seguirà un periodo di lunghe lamentazioni connesse al fatto che nessuno si occupa di lui, né la sua anziana madre ancora prigioniera del lutto per il marito, né la sua nuova compagna che “eccentrica e stravagante” gli dice che aldilà di tutto sta bene e può darle una mano con il bambino che ha avuto da una precedente relazione.  “La mia sofferenza per loro non esiste…” dice stizzito; gli chiedo di quale sofferenza sta parlando, resta perplesso e dice che ci deve pensare.

Marco Farina

Psicoterapeuta

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