Intervista ad Andrea Geremicca: verso un futuro più sostenibile

Andrea Geremicca, Direttore Generale dell’Istituto Europeo dell’Innovazione per la sostenibilità

di Marco Gennari

Andrea Geremicca, Direttore Generale dell’Istituto Europeo dell’Innovazione per la sostenibilità, sta spendendo da anni la sua vita nel trovare dei modi per guidare l’innovazione all’ottenimento di risultati sostenibili. 

Cosa significa essere innovatori oggi? 

L’innovazione è una soluzione nuova a un problema vecchio. Non è un processo rapido e snello, deciso e realizzato da pochi; è invece un duro lavoro di collettività che per funzionare non deve partire dal basso verso l’alto o dall’alto verso il basso, ma dal cuore dell’azienda stessa; per questo deve coinvolgere tutti per funzionare. Ho sempre cercato di favorire questo processo trasformando l’azienda in una piattaforma dove si generi un sano conflitto senza alcun pregiudizio. Nonostante la parola innovazione appaia in ogni articolo, libro o intervista di qualsiasi natura, come fosse uno step naturale per tutte le aziende, non è affatto un meccanismo spontaneo. Nessuna azienda con cui ho lavorato innova per vocazione, anzi, probabilmente ne farebbero volentieri a meno se potessero: cambiare ha costi elevati, richiede un coinvolgimento pressoché totale dell’organizzazione ed espone al rischio di perdite economiche importanti. Innovare è un verbo che necessariamente ci proietta verso il futuro, e la capacità di osservare tanti possibili futuri è una qualità indispensabile per qualunque azienda voglia anticipare i cambiamenti più che reagire a essi. È questo forse il mio ruolo, creare un luogo dove s’immagina ogni giorno il futuro che vorremmo realizzare. Lei fa dell’innovazione il suo cavallo di battaglia. 

In che modo coniuga l’innovazione alla tematica della sostenibilità e quali sono le novità applicate al settore ? 

Trovare una definizione semplice a un problema complesso come la sostenibilità potrebbe portarci fuori strada; tuttavia, se volessimo provare a definire lo sviluppo sostenibile in modo sintetico, direi che essere sostenibili non vuol dire altro che essere in grado di durare nel tempo. Se prendiamo questo come dato, capiamo subito che per essere durevoli occorre fare tutto ciò che possiamo per evitare che i cambiamenti a cui stiamo assistendo sul versante climatico o sociale, nella nostra società, finiscano per danneggiarci. Occuparsi di sostenibilità non è quindi una questione filantropica, non è una scelta morale: è la conseguenza più naturale del nostro spirito di sopravvivenza. La struttura sociale che abbiamo creato, la nostra economia, la nostra sicurezza, la nostra capacità di nutrirci e di proliferare, riusciranno a resistere in un pianeta con il 70% in meno di specie viventi o con (solo) qualche grado in più di temperatura? Le nostre aziende possono essere profittevoli, nel lungo periodo, considerata la crescente scarsità di risorse e le presenti e future guerre? Non essere sostenibili non è il problema perché non è un’alternativa. Il problema è un altro: come organizzarsi per essere resilienti e adattarsi al cambiamento senza accentuarlo con il nostro sviluppo. Non si può essere sostenibili se non innovando radicalmente quello che facciamo e come lo facciamo, e non si può immaginare di affrontare il lungo e faticoso (anche economicamente) percorso dell’innovazione se non con il fine di essere sostenibili. Nel corso degli ultimi anni ho avuto il piacere di lavorare, attraverso il nostro Istituto (European of Innovation for Sustainability), con alcune delle aziende più impegnate al mondo nella trasformazione verso aziende sostenibili, tutte, a modo loro e con tempi e investimenti diversi, hanno solo una cosa in comune: la sostenibilità è insita nel purpose dell’azienda stessa, in ogni singolo atomo. Il clima sta notevolmente cambiando. Sono sempre più numerose le catastrofi causate da cambiamenti climatici. 

Quanto dobbiamo effettivamente preoccuparci e quanto noi esseri umani siamo davvero consapevoli della gravità della situazione? 

Credo non ci sia neanche bisogno di parlare di tutto quello che è la crisi climatica o domandarsi se effettivamente è un qualcosa che abbiamo causato noi o meno, perché ci sono ormai tantissime conferme. Gli scienziati non sono quasi mai d’accordo su nulla; beh, questa volta invece sono assolutamente d’accordo sul fatto che il nostro vivere, la nostra quotidianità, il nostro modo di svilupparci e di crescere anche economicamente, ha portato ovviamente un disastro dal punto di vista del clima della perdita, di biodiversità etc. Per capire secondo me quello che effettivamente l’uomo ha fatto all’ambiente, che, ci tengo a precisare essere alquanto sbagliato dal momento che noi spesso tendiamo ad asserire “noi abbiamo distrutto, stiamo distruggendo la terra dove viviamo, e non è assolutamente vero, è importante tenere presente che la terra c’è da molti più anni di noi e continuerà a esserci per molti anni dopo che noi ce ne saremmo andati; quello che noi stiamo facendo è rendere la nostra vita su questo pianeta difficile, incompatibile. Ora, per capire quello che effettivamente sta succedendo in ambito delle risorse, possiamo fare un esempio. Tutti – o quasi tutti – sappiamo come funziona la carta di credito. Noi in pratica prendiamo questa carta di credito che ci permette in base al nostro plafond di spendere dei soldi. Se noi spendiamo per tutto il mese quei soldi, indipendentemente da quanti ne abbiamo sul conto, il cinque del mese successivo la banca ci dirà “hai speso 2000 €, adesso li prendo dal tuo conto appunto”, perché la banca si è fatta creditrice e quindi ci ha dato la possibilità in qualche modo di spendere quei soldi dandoci del credito, sapendo che però il cinque del mese successivo ce li avrebbe ovviamente chiesti indietro e poi si ricomincia. Immaginiamo che per un momento la banca non decida di riprendersi quei soldi il cinque del mese successivo ma ci dia la possibilità di spendere questi soldi quanto vogliamo per 15 anni, e solo allo scadere del quindicennio chiederà indietro i soldi. Ecco, se succedesse una cosa del genere probabilmente la banca nel 95% dei casi non troverebbe più quei soldi perché sarebbe una cifra talmente elevata che poche persone avrebbero correttamente accantonato. Questo è quello che sta succedendo con le risorse, e non è il pianeta che ogni anno ci porta il conto delle risorse in più che abbiamo. Ma in un lungo periodo questo succede ed è quello che sta succedendo. È come se oggi il pianeta ci chiedesse di restituire quelle risorse che noi abbiamo utilizzato senza limite. 

In che modo pensa potremmo davvero sensibilizzare la popolazione terrestre ?

Senza andare troppo indietro nel tempo, già 5/6 anni fa in pochi parlavano di sostenibilità o quantomeno in pochi capivano davvero cosa voleva dire la parola sostenibilità e la complessità che un argomento del genere si porta dietro. Quello che è successo è che per fortuna ci siamo resi conto che presto potrebbe essere troppo tardi, e tutti quanti abbiamo iniziato a parlare, comprendere, capire e anche spiegare come nel nostro caso quello che effettivamente è la sostenibilità e quali sono i rischi della insostenibilità per aziende per governi per paesi ma soprattutto per la nostra specie, quella dell’essere umano. Oggi è stato fatto sicuramente un passo in avanti; mi piace pensare che non ci sia più bisogno di spiegare quale sia il problema perchè è sotto gli occhi di tutti; secondo me non serve neppure andare ulteriormente a spiegarlo perché se togliamo i negazionisti, che ci saranno sempre in ogni circostanza, credo che tutti quanti adesso abbiano chiaro che cosa stia succedendo. Quello che noi dobbiamo fare è continuare a parlarne non più in un’ottica di “abbiamo distrutto il pianeta” o “abbiamo rubato il futuro dei nostri figli”. Non serve più questa ondata di terrorismo climatico, che secondo me si può quantomeno attenuare. Oggi c’è bisogno di parlare di soluzioni e di cosa possiamo fare e cosa dobbiamo fare.

Il fenomeno degli “attivisti” è da considerarsi proficuo o può sfociare, come nei casi di imbrattamento di luoghi di culto o pubblici, ridicolo e oltraggioso?

È difficile rispondere a questa domanda perché dentro la parola stessa “attivisti” c’è un range molto ampio di persone che a vario titolo e in vario modo cerca di sensibilizzare sul tema della crisi climatica. Ora, se pensiamo a una delle icone della battaglia alla crisi climatica delle generazioni più giovani, ci viene in mente Greta Thunberg. Aldilà dei suoi importantissimi discorsi, è salita alla ribalta perché si è incatenata e ha fatto sciopero della fame. Quello è il modo in cui lei ha protestato dicendo: “dite di amarci, volete rubarci il nostro futuro. Fate qualcosa perché il nostro pianeta sta per essere incompatibile con la nostra vita” e quindi la sua è stata una forma forte di attivismo che ha attirato l’interesse di tutto il mondo. Da lí, possa piacere o non piacere, ha comunque attirato l’attenzione pubblica su un tema ancora comunque abbastanza di nicchia, quindi se parliamo di quel tipo di attivismo, che è comunque relegato alla sfera personale, credo che in passato sia stato utile (non lo vedo utile forse adesso). Per quanto riguarda gli attivisti che imbrattano le statue o imbrattano i quadri nei musei, beh, quello non credo che sia assolutamente utile, anzi, va quasi a spostare il tema della sostenibilità su una questione morale di etica sostenibilità, e come dicevo prima non è una questione etica ma una questione di sopravvivenza . Questo gesto secondo me và a banalizzare e spostare l’attenzione su un tema che invece ha necessità di essere trattato in maniera assolutamente adeguata e nei contesti adeguati.

Lei è anche docente presso due rinomate università, la Lumsa e la Luiss. Trova che le nuove generazioni, la cosiddetta Gen Z, sia sensibile al tema “sostenibilità”? 

Io credo che la cosiddetta Gen Z sia L’unica opportunità che abbiamo, perché noi abbiamo dimostrato nel corso degli anni che spesso, molto spesso, diciamo una cosa ma ne facciamo un’altra e lo manifestiamo nei nostri acquisti. Nelle interviste ci chiedono se noi siamo disposti a comprare dei prodotti più sostenibili. Rispondiamo di sì, ma poi andiamo al supermercato e compriamo il prodotto che costa di meno senza neanche chiederci se sia sostenibile o meno. La generazione Z è molto più critica nei confronti di quello che effettivamente sta acquistando, vuole comprendere e sapere di più sui processi di realizzazione di quel prodotto o servizio. È sicuramente molto più attenta delle generazioni precedenti al tema della sostenibilità e questo non stupisce, perché ovviamente è anche il motore che sta spingendo le aziende di tutto il mondo a creare dei prodotti sempre più sostenibili perché i clienti lo richiedono e lo vogliono vedere, capire e comprendere. Importante secondo me è che spesso la mia generazione ha avuto la sensazione di dire “ma io cosa posso fare, io sono una persona sola, come posso effettivamente cambiare la sorte del mondo, anche da un punto di vista del business?”, ed è un grande errore, perché c’è una frase (non ricordo dove l’ho sentita) che dice una cosa sacrosanta, che io condivido al 100% , ossia “ogni volta che spendi un dollaro stai votando il mondo che vuoi”, e questo è esattamente quello che sta facendo la generazione Z, non mette soldi su un prodotto che non rispecchia il suo valore.

Quali sono gli obiettivi che si è prefissato di raggiungere a medio e lungo termine collaborando a stretto contatto con realtà europee per un mondo più “green”? 

Come Direttore Generale dell’Istituto Europeo di Innovazione per la Sostenibilità, ci occupiamo di educational a vari livelli: sia per aziende e organizzazioni, sia per persone, per cittadini manager e per curiosi che vogliono capire quali siano le soluzioni, le innovazioni che si possono mettere in atto per essere più sostenibili. Il nostro obiettivo è quello di riuscire in qualche modo a raccontare e spiegare un tema incredibilmente complesso come quello della sostenibilità in maniera più semplice e accessibile, perché nessuno può prendere delle scelte consapevoli e importanti per cambiare e applicare una transizione alla propria azienda, alla propria realtà e al proprio paese se non ha compreso bene quello che può essere poi il contro bilanciamento di quelle scelte, perché ogni cosa che succede in un sistema complesso ha ricadute in tantissimi altri sistemi. E quindi il nostro obiettivo è quello di rendere più semplice la comprensione di un sistema e di una nomenclatura anche molto complessa, che in qualche modo risiede attorno alla sostenibilità, e lo facciamo con l’obiettivo di creare delle partnerships. Questo perché è importantissimo secondo noi ammettere, assumere, e in qualche modo incoraggiare, tutto quello che è la collaborazione anche tra varie filiere e anche tra diversi mercati per il raggiungimento della sostenibilità. E se c’è una cosa che ho imparato in questi anni all’Istituto Europeo, è che nessuno può ottenre la sostenibilità da solo ed è assolutamente un qualcosa che va fatto e va ottenuto collaborando con gli altri; questo è l’obiettivo del nostro istituto: facilitare da una parte tutta la comprensione delle tematiche legate alla sostenibilità e dall’altra quella di favorire la collaborazione tra vari stakeholder che possono essere Nazioni Unite, aziende o persone.

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