Sundown di Michel Franco colpisce, ma non convince

Il regista Michel Franco presenta “Sundown”, con Tim Roth e Charlotte Gainsbourg; un film interessante, drammatico, con una vena thriller

Il regista messicano Michel Franco torna a Venezia dopo il successo ottenuto con “Nuevo Orden” lo scorso anno, con il quale ha vinto il Leone d’Argento – Gran premio della giuria. In questa edizione presenta “Sundown”, con Tim Roth e Charlotte Gainsbourg; un film interessante, drammatico, con una vena thriller. Anche questa pellicola è in concorso nella sezione ufficiale in corsa per il Leone d’Oro, ma sembra meno favorita per la vittoria. La programmazione di Sundown è prevista anche al Toronto Film Festival, che si terrà dal 10 al 18 settembre. 

La trama 

Siamo ad Acapulco, in Messico, in un lussuoso resort. Neil Bennet, Tim Roth, è in vacanza con la sorella Alice, interpretata da Charlotte Gainsbourg, e i figli della sorella. Il film si apre come dramma familiare quando Alice riceve una telefonata da Londra che la avvisa della morte improvvisa della madre. La famiglia riparte di tutta fretta, tranne Neil che, fingendo di aver perso il passaporto, decide di restare in città. La vita dell’uomo trascorre così serena tra spiaggia, incontri e bevute. Tutto cambia però dopo un altro tragico evento. 

Perché andare a vederlo 

Il film scorre in modo lineare e nonostante i momenti di tensione, la storia non riesce mai a raggiungere un apice. Il lavoro di Michel Franco colpisce, la regia è accurata e riesce a raccontare perfettamente la psicologia del personaggio principale. Tim Roth è molto bravo a restituire la personalità complessa e misteriosa di uomo sempre malinconico e schivo. 

Purtroppo però la mancata soddisfazione della tensione e l’eccessiva ricerca del turbamento dello spettatore non convincono del tutto. Il film è comunque ben strutturato e piacevole. Da ricordare anche l’interpretazione dell’attrice messicana Iazua Larios, ovvero Bernice, ragazza con la quale Neil stringe un legame amoroso nei giorni ad Acapulco. 

di Ludovica Ungari

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