Un evento speciale che fonde l’arte coreutica con la pittura, in un’opera profonda, sensuale e tormentata proprio come il genio a cui si ispira: Michelangelo Merisi da Caravaggio.
Il ritorno di un capolavoro contemporaneo
Creato nel 2008 per lo Staatsballett Berlin, Caravaggio approda finalmente in Italia con una veste tutta nuova. Lo spettacolo è prodotto da una squadra artistica d’eccellenza che include, oltre a Bolle, anche una compagnia formata per l’occasione, composta da circa 30 giovani danzatori scelti tramite audizione, affiancati da solisti di calibro internazionale.
Alla base dell’opera, le suggestive musiche di Bruno Moretti, che riorchestra in chiave sinfonica brani di Claudio Monteverdi – dall’Orfeo al Combattimento di Tancredi e Clorinda, dall’Incoronazione di Poppea ai Madrigali – creando un tappeto sonoro che vibra all’unisono con le luci e i corpi in scena.
La danza incontra la pittura
Bigonzetti non propone una narrazione lineare, ma un’indagine danzata sull’anima di Caravaggio. L’artista barocco diventa simbolo della dualità eterna tra luce e tenebra, tra violenza e bellezza. Il balletto si costruisce così attorno a un io caravaggesco tormentato, rappresentato attraverso un’alternanza intensa di assoli, duetti e momenti corali, in cui Bolle domina la scena con la consueta potenza espressiva e controllo tecnico.
Il palcoscenico si trasforma in una sorta di “quadro vivo”, dove il disegno luci e le scenografie essenziali firmate da Carlo Cerri esaltano ogni dettaglio drammatico. Nulla è lasciato al caso: tutto è tensione, vibrazione, verità.
Bolle: l’ambasciatore della danza che unisce passato e presente
Caravaggio non è solo uno spettacolo, è una dichiarazione d’intenti. Roberto Bolle, ancora una volta, si fa portavoce di un’idea di balletto che dialoga con il presente senza dimenticare la tradizione. Con la sua forza magnetica, porta il linguaggio del corpo là dove si pensa che solo la parola possa arrivare: nei territori dell’inquietudine, del desiderio, dell’identità.
Questa produzione al TAM è più di una prima italiana: è un ponte tra arti, epoche e sensibilità, un atto d’amore verso il genio di Merisi e un’esaltazione del potere del movimento come strumento narrativo assoluto.