Il Nuovo Realismo Narrativo del Roma Cinema Festival

Roma Cinema Festival

La quattordicesima edizione del Festival del Cinema di Roma ha inizio, e appare evidente come le scelte di programmazione abbiano abbandonato qualsiasi tipo di retorica, i dialoghi promettano di essere poco eloquenti ma abbondantemente esplicativi. È contemporaneo e attuale questo Festival, dove la componente narratologica è la nostalgia, come filo conduttore il tema familiare ritorna nelle varie forme più classiche del dramma, dell’amore perso e ritrovato, della vita della morte e insieme della malattia. È un Festival del Cinema che dal 17/10 al 27/10 sembra mettere al centro della questione l’individuo, nell’accezione più generica s’intende, anche perché se fossero stati in grado di snocciolare tutte le questioni dell’umano rimarrebbe ben poco di cui disquisire.

La camera da presa sviluppa diversi registri, lo fa con sguardi diametralmente opposti e diversi, cercando di rievocare una certa empatia tra esseri umani. Tutta la programmazione sembra impregnata di bestialità e magnanimità al contempo, con uno sguardo impegnato verso la fotografia dell’autentico. I tagli, le luci, i costumi cristallizzano immagini del reale, credibile e schietto; abbandonati gli effetti speciali si concorre per una più reale rappresentazione del reale stesso.

Il cinema elevato a scienza umana – come preferiva dedicarvisi Pier Paolo Pasolini – utilizza qui la camera da presa inserendo il soggetto, o l’oggetto, all’interno di contesti socio-culturali specifici, e in questo momento la scelta del Cinema Festival di Roma volge in tale direzione, come un ritorno nemmeno troppo improvviso e quasi atteso, ad un certo realismo.

Stralci di programmazione

Tutta l’umanità e tutte le fragilità sono snocciolate in ‘Waves’ di Trey Edward Shults, dove l’ago della bilancia pende prima verso il cuore per spostarsi poi sullo stomaco: conferisce spossatezza e manifesta la fortuna dell’avere oggi e ora, sconvolge il concetto di tempo e racconta l’amore come se fosse un coraggioso atto di pazienza. È l’umana e la fragile storia di una famiglia.

Così anche ‘Motherless Brooklin’ vede al centro il lato umano dell’individuo, inserito in una stratificazione di sentimenti e impulsi. In tal senso Edward Norton narra le vicende di un investigatore privato affetto da Sindrome di Tourette, in un’America degli anni ‘50 del Novecento.

In un momento storico inglese così delicato e inaspettato come quello attuale, Tom Harper ha un approccio umano e nostalgico in ‘The Aeronauts’: quest’ultimo fa un passo indietro in un ormai scomparso Regno Unito del 1862, quando Amelia Wren e il meteorologo James Glaisher decidono di lasciare il terreno per volare in mongolfiera dove nessun altro aveva prima di loro. I costumi di questo film sono promettenti e meravigliosi.

Perché ci sia la celebrazione dell’individuo e tutti i quesiti che essa comporta, non si può non parlare di vita e morte: il cancro e la malattia si confermano l’avvenimento più destabilizzante ad esse legato. Così ‘The Farwell’, di Lulu Wang, diventa la riprova, anche se solo cinematografica e romanzata, di come il cancro sia una malattia condivisa, e ancora, di come affligga più spesso chi circonda il malato e non il malato stesso. In questo film, il tumore che lascia poco tempo per il vivere diventa un imprevisto gioco di specchi dove quello che inizialmente sembra essere il peggior avvenimento della vita, si rivela essere il più complice alleato, tira fuori il meglio, esaspera il sentimento della vita e della condivisione all’ennesimo.

Nessun tipo di debolezza ed emotività umana è trascurata nella programmazione del Festival, e anche la paura e il dolore sono contemplate in ‘Honey Boy’: crudo, di difficile digestione e coraggioso per una delle più audaci interpretazioni infantili degli ultimi tempi. Alma Har’el racconta a ritroso la scoperta di un abuso infantile attraverso vecchie pellicole, come la narrazione di un film all’interno del film.

Ci sono anche le facce della felicità, seppur malinconica, nelle scene de ‘La Belle Epoque’ di Nicolas Bedos, dove un uomo dai sentimenti autentici, poco elaborati, e lontano dalla tecnologia, decide invece di servirsene per viaggiare indietro nel tempo, al maggio del 1974, Lione, dove re-incontra la donna della sua vita.

Il Nuovo Realismo

Il Roma Cinema Festival di questo 2019 sembra essere l’interpretazione stratificata a scaglioni, ma davvero consistente, della realtà circostante, dell’umanità che la popola e di tutte le contraddizioni che l’individuo sembra manifestare. In un denso calderone emotivo, la vita, l’amore, il dolore e la morte celebrano il passato in chiave nostalgica senza accenni alcuni al futuro, presi da un moto di preoccupazione comprensiva per l’attuale momento piuttosto che interrogativa verso l’ignoto che deve arrivare.

E proprio dalle parole di Paolo Bertetto sembra aver preso ispirazione questo Festival, facendo proprio linguaggio cinematografico di letterature e filosofie, in un dialogo mutuo: “interpretare il cinema e analizzarlo anche nelle sue componenti particolari è un processo conoscitivo che non riguarda un orizzonte separato, ma investe le forme simboliche come il mondo della vita. Ridurre la conoscenza del cinema alla documentazione o all’applicazione di schemi metodici, vuol dire sottrarre al processo di interpretazione del film la forza dell’interpretazione del mondo e delle sue forme simboliche che potrebbe svolgere. Vuol dire sottrarre rilevanza, ampiezza e ricchezza al percorso conoscitivo. Il cinema non deve soltanto diventare il terreno di applicazione di metodi mutuati da altri orizzonti del sapere: deve invece diventare interpretazione dinamica del mondo che si estende progressivamente e parla alle altre discipline e alla comprensione della contemporaneità. Non è soltanto la filosofia che può parlare al cinema. È il cinema che deve saper parlare alla filosofia. E l’interpretazione del film deve muoversi in questa dimensione dinamica, in cui le forme simboliche diventano orizzonti per interpretare il mondo”.

In questi termini, è decisamente presto per affermarne la riuscita, ma è doveroso documentare l’impegno del Roma Cinema Festival nell’interpretare cinematograficamente la realtà dell’oggi, con immagini, dialoghi costumi e musiche in un’arte che da sempre accomuna e mai divide, celebrando così il ritorno di un Nuovo Realismo.

 

di Camilla Stella

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