Luigi Comencini, l’artigiano del cinema

 

Se vi chiedessero quale fosse la differenza tra artista ed artigiano, sapreste rispondere?

Molti di voi probabilmente no, ed io come voi non saprei di certo stilare una lista di differenze che rendano un uomo che lavora a regola d’arte tanto diverso da un genio, un prodigio, un divo del suo mestiere, come è considerato l’artista.

Altrettanti fra voi però, in perfetta concordanza con i critici cinematografici che classificarono Luigi Comencini come un regista di serie B, risponderebbero a questo quesito citando Guillaume Apollinaire “Prima di tutto, gli artisti sono uomini che vogliono essere inumani” dicendoci poco niente di utile per comprendere questa divergenza di ruoli tanto decantata ma troppo poco giustificata.

Fellini, Rossellini, Pasolini, Visconti, Antonioni, son questi  secondo i critici alcuni dei registi di Prima classe del buon caro e defunto Cinema italiano del ‘900, perché I grandi artisti, come insegna Guy de Maupassant, sono quelli che impongono all’umanità la loro particolare illusione, e fu proprio ciò che questi  grandi nomi fecero.

Comencini no, realizzò probabilmente troppi film nella sua carriera per esser considerato un artista, troppi successi al botteghino, mentre è oramai diventato un cliché che il vero genio del cinema deve essere insultato, fischiato e disprezzato alle prime dei suoi film, storie troppo ben costruite e semplici da comprendere le sue, troppo adatte ad un pubblico eterogeneo fatto di “poveracci”  e di “ricconi”, mentre l’arte deve essere tanto difficile da comprendere da divenire elitaria.

Ma non è forse vero che un artista è proprio colui che dice una cosa difficile in modo semplice?

Molti definirono le opere di Comencini incredibilmente “commerciali” perché produceva film di ogni genere, tanto diversi e lontani l’uno dall’altro per rispondere alle esigenze del mercato e alle volontà dei produttori e dei distributori, e così dicendo fecero trasparire il cinema di questo regista come la sua personale macchina del denaro. Ma, erro forse ricordando come tantissimi artisti del passato lavorassero su commissione producendo ciò che veniva loro richiesto e riuscendo comunque a dare vita a strabilianti capolavori? E ancora, visto che siamo in vena di citazioni, ricorderei una cinica ma intelligentissima affermazione di Henri Meyers : “Artista è un uomo che non prostituirà mai la sua arte, eccetto che per denaro”.

Troppo semplice considerare capolavoro un film incomprensibile, enigmatico, tremendamente persuasivo e turbante, traboccante di atmosfere oniriche e musiche circensi come sono le più grandi opere del Fellini, delle quali qui nessuno vuole mettere in discussione la bellezza, ma solo delicatamente poggiarla sullo stesso piano dei più bei lavori del Comencini, che c’hanno fatto ridere come i due Pane, amore e… , piangere come La Storia, sognare come Il ragazzo di Calabria, fantasticare con Le avventure di Pinocchio, riflettere su temi tanto attuali come il rapporto genitori figli con Incompreso, La finestra sul Lunapark, Voltati Eugenio, o la prostituzione con La tratta delle bianche.

Tutti questi, capolavori indiscussi, capolavori incompresi sono solo alcuni dei tanti piccoli e semplici tesori che Luigi Comencini ci ha lasciato a disposizione per riflettere meglio su noi stessi e sulla realtà circostante, sulla vita dei piccoli teppisti, sulla disperazione delle madri, sulla sensibilità dei bambini, sulla fragilità degli adulti, sulla maturità di una bambina che pur di estinguere il vizio del gioco dei genitori accecati dalla brama di denaro è spinta a sporcarsi l’animo con un omicidio ( Lo scopone scientifico).

“Le grandi opere d’arte non sono affatto sofisticati oggetti da allineare in una galleria silenziosa e ammirare devotamente: le grandi opere d’arte distruggono intere visioni del mondo, violentano i sensi e invadono le menti e i cuori dei loro spettatori…”

 

di (Giulia Betti)

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