I fratelli Taviani reinventano Shakesperare (con i detenuti)

Vincitore dell‘orso d’oro al festival di Berlino 2012, il film “Cesare deve morire” di Paolo e Vittorio Taviani rappresenta per il cinema d’autore italiano motivo di grande orgoglio. I due registi presentano il dramma di Willian  Shakespeare servendosi non di attori professionisti, ma di detenuti del carcere di  Rebibbia, condannati per diversi crimini. Nel corso dei provini viene richiesto a ciascun detenuto di esprimere le proprie generalità attraverso due stati emotivi diversi e, una volta assegnati i ruoli, si chiede a ciascun attore di recitare la propria parte nel proprio dialetto di origine. Seguendo i laboratori teatrali organizzati dal regista Fabio Cavalli, autore di versioni di classici shakespeariani interpretate dai carcerati, i fratelli Taviani seguono non solo le prove e la messa in scena finale del “Giulio Cesare“, ma anche le vite dei detenuti nelle loro celle.

Man mano che lo spettacolo prende corpo, gli attori si rendono conto di quanto l’opera di Shakespeare riesca a parlare loro delle vite che conducono; scoprono che solo attraverso l’arte si può arrivare alla salvezza come scappatoia dal dolore, la recitazione appare come unica soluzione  ai conflitti interiori ed interni al carcere. Recita Cassio in scena, una volta tornato nella sua cella: “Da quando ho conosciuto l’arte questa cella è diventata una prigione”.

Dopo aver trionfato al festival di Dublino, “Cesare deve morire” riceve otto candidature ai David di Donatello e ottiene cinque statuette: per Miglior Film, Regia, Produttore, Montaggio e Presa diretta; per la sceneggiatura premiati Paolo Sorrentino e Umberto Contarello.

 Silvia Todisco

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