ANNA: la nuova serie scritta e diretta da Niccolò Ammaniti

A che punto può arrivare una persona per sopravvivere? Esiste la morale in una società senza leggi? Ammaniti affronta questi temi in ANNA

Semplicemente ANNA

Il titolo della nuova serie di scritta e diretta da Niccolò Ammaniti è semplicemente ANNA: tutto maiuscolo, palindromo, speciale e deciso, che rispecchia perfettamente la protagonista che lo porta, speciale anch’essa, determinata, coraggiosa. 

Dei bambini che non vogliono, ma devono crescere

Anna (interpretata da Giulia Dragotto alla sua prima e molto convincente prova attoriale) è una ragazzina di 13 anni che vive ai tempi della Rossa e si prende cura del fratello minore Astor (il giovanissimo Alessandro Pecorella). La Rossa è una malattia virale respiratoria altamente contagiosa e letale che si è diffusa in tutto il mondo e colpisce solo gli adulti: la cosa più assurda di tutto ciò è che le riprese della serie sono iniziate 6 mesi prima dell’odierna pandemia.

Quando la Rossa è iniziata, la madre di Anna, interpretata da Giulia Lietti (che abbiamo già visto nella precedente fatica televisiva di Ammaniti, Il miracolo, 2018) si è trasferita con i suoi due figli in una casa di campagna vicino a Palermo per scampare al virus e ha iniziato a scrivere un “manuale di sopravvivenza”, un libro di consigli sulla vita dopo la sua morte, il cui capitolo più importante porta il titolo “Cose da fare quando la mamma muore”. 

Anna e Astor da 4 anni conducono così una vita relativamente tranquilla nella loro piccola oasi di pace circondata da un bosco e da una recinzione: Anna esce solo per prendere il cibo, mentre Astor la aspetta, poiché non ha il permesso di uscire dal cancello, perché fuori, gliel’ha detto Anna, ci sono i mostri e si muore. Un giorno Anna torna a casa ma Astor non c’è, è stato rapito dai Blu, bambini allo stato selvaggio capitanati dalla spietata Angelica (la bravissima Clara Tramontano), che è in possesso (sì, è il caso di parlare di possesso) di una persona immune al virus, la Picciridduna, un ermafrodita le cui ceneri, se mangiate, dovrebbero guarire dalla Rossa. 

Anna intanto ha incontrato Pietro (Giovanni Mavilla), un ragazzo che aveva baciato una volta, che la indirizza verso l’accampamento dei Blu, dove trova il fratello ma viene accidentalmente morsa da una vipera e Angelica, per salvarla (ma forse non ce n’era bisogno), le amputa un braccio. Dopo essere guarita, Anna e la Picciridduna si coalizzano contro Angelica e la uccidono, ponendo così fine al suo impero del male. Nel frattempo Astor è fuggito e Anna, mentre lo sta cercando, incontra Pietro che ha preso la Rossa e sta per morire: il suo ultimo desiderio è andare sull’Etna, dove gli hanno detto che le anime dei morti si rifugiano. Dopo la morte di Pietro e il ricongiungimento di Anna con il fratello, i due decidono di tentare la traversata dello stretto per raggiungere la terraferma dove, forse, qualcuno ha trovato una cura. Durante l’impresa i due si imbattono in una grossa nave su cui vivono dei sopravvissuti. La serie si conclude con l’incontro dei due fratelli con i 5 adulti e un neonato, simbolo potentissimo di speranza, di una rinascita possibile, di nuova vita. 

Naufraghi a casa propria

Le aspettative sulla nuova serie di Ammaniti prodotto da Sky erano altissime e sono state rispettate: ANNA è una miniserie incredibile, magica, tremenda ma favolosa, agghiacciante ma anche tenera. Un racconto distopico, post-apocalittico, in cui dei bambini lasciati a loro stessi sono costretti a badare a loro stessi, e a diventare adulti fin da giovanissimi, con la certezza che un giorno, quando i primi segni della pubertà si presenteranno sui loro corpi (cioè quando paradossalmente diventeranno veramente adulti), inevitabilmente moriranno. L’ambientazione è una Sicilia meravigliosa ma deserta, anch’essa abbandonata, una specie di “isola che non c’è” dove l’unica dimensione possibile dell’esistenza è l’infanzia, non del tutto negata, in cui bambini già maturi non vorrebbero crescere mai, ma vi sono costretti perché il mondo sembra reggersi tutto sulle loro piccole spalle. 

Oltre alle notevoli performance di questi giovanissimi, lo stile di regia e anche la fotografia di Gian Enrico Bianchi danno un tocco veramente personale alla serie: un esempio di questo stile onirico e surreale, forse la scena più bella dell’intera serie, è quella in cui Anna si immagina che la madre, ormai morta da giorni e in avanzato stato di decomposizione, esca con passo solenne dalla loro casa vestita da astronauta, perfettamente in salute e con il loro gatto in braccio, e si avvicini alla bambina che le stampa un tenero bacio sulla visiera del casco. 

Vivere 14 anni come i cani

“Non importa vivere una vita breve, chissene frega di morire a 14 anni, come i cani, se si è vissuta una vita piena” dice Pietro, l’amico di Anna, già moribondo. Questa è solo una delle innumerevoli riflessioni che questa “fiaba per adulti” suscita: che importa impegnarsi a vivere, se bisogna morire? A che punto può arrivare una persona per sopravvivere? Esiste la morale in una società senza leggi? Ha senso avere speranza di fronte all’ineluttabilità della morte? Ammaniti ci sbatte in faccia (o per meglio dire, sullo schermo) tutte queste suggestioni attraverso l’azione e le parole di bambini che, come i pazzi, a volte, sembrano avere la verità in tasca. 

di Alessandra Baio

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