I “segni” di Capogrossi alla Peggy Guggenheim

Un linguaggio “segnico” tutto da decifrare. Un artista, o sarebbe meglio dire l’unico artista italiano che nel dopoguerra sia stato capace di inventare qualcosa di originale a livello delle avanguardie internazionali. Fino al 10 febbraio 2013 Giuseppe Capogrossi è “ospitato” alla Peggy Guggenheim di Venezia. Una retrospettiva a cura di Luca Massimo Barbero, che rende omaggio ad uno dei protagonisti assoluti della scena artistica del secondo dopoguerra, l’incarnazione stessa della ricerca avanguardistica internazionale del secondo Novecento.

Nato nel 1900 a Roma da famiglia di origine nobiliare, dopo una laurea in Giurisprudenza Capogrossi compie diversi viaggi a Parigi, dove frequenta atelier e accademie e si interessa alle tendenze artistiche contemporanee. Nel 1949 il pittore romano fonda il gruppo neocubista “Origine” insieme ad artisti del calibro di Alberto Burri, Mario Ballocco ed Ettore Colla. Le sue opere si allontanano sempre di più dal figurativo fino a diventare totalmente astratte negli anni Cinquanta. I colori diventano cifre, segni in serie dalla struttura costante, che si muovono nello spazio con ritmi variabili, mai regolari. Grazie alle sue ricerche sul segno si è affermato come uno dei maggiori esponenti dell’arte informale a livello internazionale.

La retrospettiva veneziana espone più di settanta opere dell’artista, tra dipinti e lavori su carta, provenienti da collezioni private e importanti musei, tra cui il Centre Pompidou di Parigi, la Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, il MART di Rovereto e ovviamente il Solomon R. Guggenheim di New York.

L’esposizione segue il percorso artistico di Capogrossi dalle prime tele figurative degli anni Trenta, al dipinto del 1948 Le due chitarre, opera chiave della transizione tra figura e nuova astrazione; fino alla sezione dedicata alla produzione in bianco e nero degli anni Cinquanta che sancì la nascita del “caso Capogrossi”, ovvero l’esplosione di quel suo segno unico ed inconfondibile.

La mostra svela la ricerca segnica che già nei primi anni Cinquanta rese l’artista noto anche alla critica internazionale. Una retrospettiva unica e completa che, partendo dall’analisi del rigore del segno, giunge alla grande orchestrazione del segno-colore, tracciando l’evoluzione della complessa vicenda pittorica dell’artista e di quel suo alfabeto, che, nelle sue più svariate interpretazioni, ha fatto identificare Capogrossi con il gusto di un’epoca, di un’Italia fiorente e ottimista, colta nel pieno del boom economico dei “meravigliosi” anni ’50 e ’60.

 

Capogrossi alla Collezione Peggy Guggenheim
Fino al 10 febbraio 2013
dalle 10.00 alle 18.00, tranne il martedì e il 25 dicembre
Ingresso 12€

Palazzo Venier dei Leoni – Dorsoduro 701 – I-30123 – Venezia
www.guggenheim-venice.it

 

(di Sara Todeschini)

 

 

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