Karim Rashid – Quando il design è colore e astrazione

Ogni realizzazione di Karim Rashid è frutto di una filosofia di vita, che diventa tangibile immergendosi nelle realtà futuristiche delle sue installazioni e nei suoi progetti di Interior Design.

Da sempre la Star psichedelica del design internazionale cambia la percezione degli spazi, la loro fruibilità, rompendo in modo radicale con la tradizione e con tutto ciò a cui ormai il nostro sguardo è abituato, creando forme e cromie prive di un passato identificabile. Forse è proprio per questa ragione che l’esclusivo restyling della zona bar del Nhow Hotel di Milano, cuore pulsante del Fuori Salone, è stata affidata proprio a Karim Rashid, il quale, reduce dall’inaugurazione del rivoluzionario Nhow Hotel di Berlino, ne ripropone le linee guida, mantenendo viva quella continuità visiva che contraddistingue e rende perfettamente identificabili tutte le sue realizzazioni.

Partendo dal colore identificativo della catena alberghiera, l’arancio, Rashid decide di puntare su un pattern di colori minimal, inserendo nel suo progetto di Interior Design le lampade bianche e oro Nafir di Axo Light, gli sgabelli arancioni Kant di Casamania e le sedie color lime Kat di Redi. La personalizzazione degli elementi e la continuità stilistica sono ben evidenti non solo nelle forme arrotondate e avveniristiche ma anche nelle grafiche, disegnate personalmente dal designer e realizzate digitalmente, che customizzano i tavoli Tak di Redi e ricoprono gli specchi del bar.

Il risultato è un’atmosfera calda e avvolgente ma allo stesso tempo stimolante e cosmopolita, in cui sono in modo particolare i colori e la loro combinazione a giocare un ruolo fondamentale; d’altra parte è lo stesso Karim Rashid che, in occasione dell’inaugurazione dell’Music Hotel di Berlino, dichiara: “La musica e i colori sono gli unici elementi in grado di influenzare il nostro umore, possono colpire direttamente l’anima e influenzare la nostra psiche. Penso che il colore sia uno dei fenomeni più affascinanti della nostra esistenza”.

 

(di Beatrice Barbieri)

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