Hypervisuality: quando l’invisibile diventa visibile

Hypervisuality

Hypervisuality a Palazzo Dugnani: una mostra, curata da Philippe Bollmann, che mette in scena l’invisibile con le opere video della Collezione Wemhöner

“Il tempo è invisibile. Visibile sono solo le tracce che lascia nello spazio. Nello spazio decifriamo il tempo.” Queste le parole di Micheal Ostheimer su Hypervisuality, la mostra esposta a Palazzo Dugnani in occasione della Milano Art Week e di Miart 2019. Promossa dal Comune di Milano | Cultura, l’esposizione presenta per la prima volta in Italia, e in generale fuori dalla Germania, una selezione di opere di una delle più importanti collezioni tedesche d’arte contemporanea. Erano sei le videoinstallazioni di formato museale di alcuni tra i massimi protagonisti della scena artistica internazionale – Isaac Julien, MASBEDO, Julian Rosefeldt, Yang Fudong.

Il visibile oltre l’invisibile: lo straniamento di più sguardi

Il suffisso “iper” si carica di molteplici significati. Indica non solo la sovrabbondanza di immagini che vengono prodotte nella società mediatica nella quale siamo immersi. Indica anche, e forse soprattutto, lo sforamento, l’iperbole, gli “iperfenomeni”, un movimento che supera i limiti. Palazzo Dugnani è il luogo perfetto per far prendere forma e far sì che si concretizzi questo “iper”. Immersi tra gli affreschi di Tiepolo (1696-1770), passato e presente si fondono con uno sguardo. Sopra le teste dei visitatori vi è il passato. Accanto vi è il presente, e forse anche ciò che potrebbe essere futuro.
L’obiettivo di Hypervisuality quindi, non è solo quello di mettere in mostra, nel senso di essere guardati. Si cerca, piuttosto, di andare oltre l’immagine stessa fino a sforare gli schemi usuali del pensare, immaginare e percepire. Sono tre le modalità di sperimentazione del vedere: l’ipervisualità implicativa, mediale e riflessiva. E ad ogni modalità corrispondono delle opere della Collezione Wemhöner.

Ipervisualità implicativa, tutto ciò che porta a trarre delle conclusioni in base alle immagini che si stanno guardando

È il caso del New Women di Yang Fudong, in cui cinque donne nude si muovono con movenze aggraziate in un studio d’interni, circondate da scarsi accessori che rimandano all’antichità europea e alla tradizione dell’Asia. Allo stesso tempo però, le donne rimandano al cinema cinese degli anni Trenta e alla fine dell’era imperiale. Le donne nuove di Yang Fudong alludono a un processo di trasformazione in atto di cui si possono cogliere le premesse e provare ad abbozzare le conclusioni.

Ipervisualità mediale: le tecniche con cui si riesce ad evocare qualcosa di diverso dalla realtà attraverso immagini filmiche

È ciò che tentano il duo artistico MASEBO con Fragile e 2’59”, Isaac Julien con Playtime e Julian Rosefeldt con The Swap.
In Fragile un ragazzo indiano attraversa la Galleria Sabauda di Torino con un pavone in braccio. Continui sono in questo caso i rimandi e i richiami: il luogo nel quale i due protagonisti si muovono è di inestimabile bellezza, oltre ad avere il ruolo di conservare la bellezza artistica delle opere; dall’altra parte, il pavone è l’animale che simboleggia la bellezza per eccellenza e l’India è la patria dei pavoni blu. A confronto, quindi, vi è l’eredità naturale e l’eredità culturale. Forse perché la natura, esattamente come l’arte, afferma sfere di bellezza che hanno bisogno di essere salvaguardate?
Diverso il caso di 2’59”: un giradischi con la canzone “Imagine” di John Lennon viene rigato con un utensile fino ad arrivare ad udire soltanto strepiti indistinti e intermittenti. Viene seppellita l’immaginazione oppure si allude al fatto che l’immaginazione stessa si basa sull’interazione tra il vecchio e il nuovo?
Isaac Julien e Julian Rosefeldt, invece, trattano in modo diverso le attività del mondo finanziario, che sono invisibili nelle loro azioni ma visibili negli effetti.

Ipervisualità riflessiva, la possibilità di creare nuovi mondi attraverso la facoltà immaginativa dello spettatore

È il caso di Julian Rosefeldt con Deep Gold. Lo spettatore segue, come in un film surrealista, un uomo in lotta con il suo immaginario libidinoso, ispirandosi e citando L’age d’or di Luis Bunuel. Non solo lo spettatore segue le vicende del protagonista, ma viene messo davanti alle proprie fantasie.

L’ipervisualità è la capacità di poter rendere visibile l’invisibile

L’arte filmica si colloca dunque tra le abitudini visive, le convenzioni raffigurative e l’innovazione visuale. La sua potenza liberatrice inizia con la consapevolezza di vedere in modo diverso. È questo lo scopo della mostra Hypervisuality: porre all’estremo, in un atto di ipervedere la realtà e le sue immagini per far sì di mettere in mostra l’invisibile. L’invisibile non è il nulla, e non è affatto invisibile.
 
di Ilaria Nassa

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