Un viaggio di sensi con Chef Davide Oldani

 

È l’uomo del momento, ops! Lo chef del momento,  tra i più chiacchierati con la sua rivoluzionaria cucina POP, che sta per cucina popolana, fresca e di stagione. La sua filosofia, è riassunta in un decalogo chiaro, preciso e rigoroso,  eppure, intorno a tutto ciò c’è un alone di incredulità, perché Davide Oldani riesce a mettere d’accordo ‘tutti’, dai gusti ai costi.

Per i più fortunati che riescono a pranzare nel suo ristorante, il D’O, in Via Magenta 18 a Cornaredo, le sue proposte regalano un esperienza che vale l’attesa di mesi e mesi. E che dire dei prezzi del pranzo… Giusti! Forse, meglio definirli accessibili, come ci ha spiegato il patron del ristorante, “l’eleganza e la qualità la puoi trovare spendendo 10 euro o 1000, basta avere buon senso e le idee chiare su quello che vuoi proporre”. Concedetemi a questo punto: Oh my god! Perché, Davide Oldani, non è un folle che sognava di fare il calciatore e poi ha deciso di diventare un fuoriclasse dei fornelli, ma un professionista del suo mestiere,  uno tra i più apprezzati Chef del panorama enogastronomico.  Le idee chiare in testa, certamente le ha sempre avute, e ha studiato molto, ha girato il mondo ed è stato allievo di Gualtiero Marchesi, Alain Ducasse, Albert Roux… Che scelgono i propri discepoli con una certa cognizione di causa.

Meticoloso, preciso ed essenziale, queste le caratteristiche che colpiscono di lui e del suo lavoro, di cui cura ogni aspetto, dal significato di D’O, che la maggior parte di noi crede siano le iniziali del suo nome e ovviamente si sbaglia, alle posate per la tavola. D’O significa dare e portare la tradizione in cucina e passepartout è una ‘pragmatica’, passatemi il termine, e anticonvenzionale, posata che funge da cucchiaio/forchetta/coltello.

Quindi, cancelliamo dalle nostre menti i concetti più scontati del caso, perchè Chef Oldani riesce spesso nell’intento di sorprendere non solo con i suoi abbinamenti, ma con tutto ciò che fa parte del suo lavoro, un altro esempio lo sono i bicchieri per “grandi nasi”.

Non siamo riusciti ad entrare al D’O per intervistarlo, ma tra un impegno e l’altro, su e giù per l’Italia, ci ha concesso qualche minuto durante il suo viaggio di rientro a Milano, e noi non ci siamo fatti scappare questa opportunità…

La sua filosofia è espressa attraverso obiettivi chiari e semplici, un decalogo da perfetto Maestro, ma tutti prima siamo discepoli… Cosa le ha insegnato fino ad ora la cucina?
Fino ad ora, lavorare in cucina mi ha insegnato che, mangiare bene è fondamentale, mangiare sano è giusto! Per avere un’alimentazione corretta, è necessario darsi delle regole. La cucina, e gran parte di ciò che riguarda l’alimentazione sono il mio lavoro, perciò tutto quello che ho imparato e continuo ad imparare non poteva non diventare una regola chiara e precisa della mia, filosofia pop.

Per lei, che era una promessa del calcio, fare lo chef è stata una scelta di serie B?
Assolutamente no. Purtroppo a causa di un incidente non ho potuto portare avanti uno, e specifico uno, dei miei sogni nel cassetto. Però ci sono riuscito con il secondo… Per me non bisogna avere un solo sogno grande nella vita. Il calcio l’ho vissuto ed è andata così… L’altro, quello legato agli studi, alla scuola, sono riuscito ad avverarlo.

Qual è la linea guida nella scelta dei prodotti che usa per creare le sue ricette?
Seguo le stagioni e il territorio.  Creo gli abbinamenti a seconda dei prodotti che la terra offre in quel determinato periodo dell’anno. I prodotti di stagione, sono più buoni, più freschi ed equilibrati.

Che tipo di rapporto ha con la sua brigata? È uno Chef autoritario e intransigente o più comprensivo e diplomatico, come può essere quello di un team sportivo, visti i suoi trascorsi?
Per me il ‘team’ è una ‘brigata’! Con i miei collaboratori, fondamentale è il dialogo solo parlandosi si crea la giusta armonia che poi si esprime anche in quello che portiamo in tavola.

Qual è la tradizione territoriale, d’Italia e non, che  apprezza di più?
Non ho preferenze su prodotti in particolare, anche la mozzarella campana che ho mangiato oggi era eccezionale, come lo sono gli spaghetti di gragnano, lo zafferano, il riso, l’aceto balsamico e così via.  Amo tutta la tradizione italiana che da sempre e ovunque si contraddistingue per la costanza e la cura dei prodotti, dal più semplice al più complesso. Questo è garanzia di qualità!

Cosa ci dice a proposito di QB e BS?
Per realizzare una ricetta, ‘quanto basta’ è stato sostituito da ‘buon senso’. Per sostenere l’importanza del rispetto della stagionalità dei prodotti nel territorio in cui si ‘lavora’ è necessario avere buon senso. Per intenderci, se viene a mangiare al mio ristorante in inverno, nel menù ci saranno piatti a base di zucca e castagne… Non i pomodori.

Ci sono ‘leggende’ che spiegano il significato di D’O, dalle sue iniziali a ‘la via’ (significato in Giapponese), addirittura  dare e portare… Qual’è quello vero?
D’O, stà per, ‘dare e portare la tradizione in cucina’. E sottolineo, POP, anche se non me l’ha chiesto, stà ad indicare: ‘popolana’, non popolare.

Passepartout e il bichiere per ‘grandi nasi’, ma come le è venuto in mente?
Grandi nasi? Ma cosa sta dicendo? (Subito ho spiegato, che con ‘grandi nasi’volevo semplicemente indicare ‘nasi’ da intenditori e non ‘nasoni’). Una volta chiarito il tutto, immediata ed ermetica la sua risposta. Il bicchiere, considerato oggetto di design, deve essere un contenitore che valorizza il contenuto, quindi in questo caso più ampio, in modo che i profumi arrivino più diretti al naso.

Può anche mandarmi a quel paese…Con la cipolla caramellata, mi ha già convinto…perchè le adoro. Amo anche l’uovo ma non all’occhio di bue… Lei come lo proporrebbe?
Visto che non ami ‘il tuorlo’che oltretutto è colesterolo… io farei una frittata leggera, raddoppiando la quantità di albume condita con erbe profumate,  maggiorana e cerfoglio, cucinata con un filo d’olio.
E ora una ricetta direttamente da Davide Oldani, nella sua cucina del D’O

Costa di lattuga, melone, Porto e riso

Ingredienti per 4 persone:

Per il riso:

  • 320 g di riso Carnaroli invecchiato 1 anno e gemmato (Piero Rondolino)
  • 1,5 l di acqua calda e salata
  • 100 g di burro dolce
  • 80 g di Grana Padano grattugiato
  • 10 ml di aceto di vino bianco
  • sale fino

Per la salsa di Porto:

  • 750 ml di Porto rosso
  • 100 g di carote pelate e tagliate a metà
  • 4 grani di pepe nero
  • 1 foglia di alloro essiccata

Per la finitura:

  • 100 g di coste di lattuga arrostita per alcuni secondi con 1 ml di olio extravergine di oliva Taggiasca (Vittorio Cassini)
  • 40 g di burro dolce
  • 120 g di melone sbucciato e tagliato a cubi di 1/2 cm l’uno

Preparazione

In una casseruola far tostare il riso, bagnare poco per volta con l’acqua salata e portare a cottura. Togliere poi dal fuoco e mantecare aggiungendo il burro, il Grana Padano, l’aceto e regolare di sale tenendolo cremoso.

Per la salsa di Porto, unire tutti gli ingredienti in una pentola con il bordo alto, cuocere a fuoco dolce fino a ottenere 100 ml di salsa di Porto. Filtrare al colino fine.

Lucidare la salsa di Porto aggiungendo il burro crudo. Per servire, stendere il riso su un piatto piano terminare adagiando delicatamente i cubi di melone, la salsa e le coste di lattuga.

Buon Appetito!

 

 

(Intervista a cura di Marianna Morandi)

 

 

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