Philippe Daverio e l’amore incommensurabile per l’arte

In occasione dell’apertura della mostra Da Vinci Experience presso Il Centro di Arese abbiamo intervistato Philippe Daverio, critico d’arte, scrittore, docente, autore, politico e personaggio televisivo.

Nel corso della sua lunga carriera ha ricoperto molti ruoli: storico d’arte, gallerista, editore, assessore, conduttore televisivo, docente. Lei come preferisce essere definito? Quale posizione l’ha appagata maggiormente?

Credo che quello che mi ha appagato maggiormente sia stato l’inventare la Milano di oggi un quarto di secolo fa come assessore, perché la politica locale ha un enorme vantaggio: permette di inventare e di vedere fare, mentre la politica nazionale è molto più difficile. L’uomo libero deve avere passione politica; la parola più brutta che noi inventiamo e viviamo oggi è la parola “privato”, che deriva dal privatus latino, ovvero chi si è tolto dalla res publica. Noi oggi pensiamo che il privato sia un valore positivo, ma se lo avessimo detto a Catone si sarebbe svenato. Il cives non tollera il concetto del privato, e a mio parere sarebbe bello che questa idea della negatività del privato e dell’importanza del pubblico tornasse ad essere stimolo per i ventenni di oggi. Penso che questo momento di profonda incertezza corrisponda in realtà al fatto che sotto sotto vi siano nascoste delle pulsioni nuove, ma non si percepiscono ancora fino in fondo: una di queste, ad esempio, dovrebbe essere la pulsione di aggregazione europeista.

Come si ammira un’opera d’arte? Qual è la giusta proporzione di testa e pancia da utilizzare? Quanto deve essere lo spirito analitico e quanto il lasciarsi trasportare dalle emozioni che essa ci trasmette?

Non è né pancia né testa. L’opera d’arte ha, rispetto al percorso filosofico e scientifico, il rapporto dell’immediatezza, una cosa molto particolare. C’è un testo molto curioso di Arthur Koestler, autore di “Buio a mezzogiorno”, in cui si sostiene che l’arte e la scienza abbiano un dato in comune con l’ironia. L’ironia è la rottura di un percorso: quando si pensa che una cosa debba succedere in un certo modo e ciò non succede, diventa una tragedia. Ecco, l’arte e la scienza sono tali solo quando inventano un percorso diverso rispetto a quello tradizionale, quando rispetto a una serie di parametri dicono, “No, non sono questi i miei parametri: bisogna inventare altro!”.

Concentriamoci ora sulla mostra Da Vinci Experience, dove è stato chiamato come relatore, e sulla figura di Leonardo da Vinci. Cosa la affascina maggiormente di questo geniale artista?

Leonardo è un personaggio incredibilmente interessante, perché gode nell’andare controcorrente. Se tutti fanno una cosa, lui fa l’opposto. Leonardo fu il grande sperimentatore delle cose concrete, il che lo mise in conflitto con tutta la “banda” degli intellettuali, ovvero gli umanisti, nonché con tutti i colleghi che non lo tolleravano. Nel 1484, dopo gli scontri fra fiorentini e papato, si decise di fare la pace, e i fiorentini mandarono al Papa la crema dei migliori artisti per andare a decorare la Sistina: tutti tranne Leonardo! Che venne mandato a Milano alla corte di Ludovico il Moro, raccomandato non come pittore, ma come organizzatore della vita di corte. A Milano divenne il protagonista della corte: organizzò feste, giocò a progettare macchine e si trasformò in un proto-indagatore scientifico. Qui lasciò una traccia fondamentale; fu il primo ad affermare che l’uomo aveva la possibilità di inventare tutto, e per la prima volta si iniziò a pensare che la creatività fosse il meccanismo per cambiare il mondo. Ogni teoria va messa in discussione, ogni assunto può essere confutato. È per questo suo procedere che rimane un uomo di rottura.

Da Vinci Experience è una mostra digitale e multimediale. Posto che la contemplazione di un’opera dal vivo rimane un’esperienza preferibile e ineguagliabile, quali sono le opportunità offerte dal digitale all’interno di questa esposizione?

Ogni salto tecnologico ci apre delle aree di cervello non esistenti prima. Inizialmente i salti tecnologici imbruttiscono, ma poi diventano estetici. Il passaggio dal libro realizzato dall’amanuense alla prima stampa dei primi libri di Gutenberg dal punto di vista estetico è un crollo totale, perché se uno guarda la prima Bibbia di Gutenberg e successivamente la Bibbia di Borso d’Este, non c’è paragone. Nel giro di trent’anni però, i libri da 300 mila sono diventati 30 milioni. Ogni volta che si assiste ad passaggio del genere, all’inizio vi è un salto qualitativo in termini di numeri, poi, in una fase successiva, si trova una nuova estetica. Nella civiltà occidentale ci sono stati una decina di passaggi significativi in questo senso; basti pensare a cosa è successo quando a metà dell’800 il prezzo della carta è calato di trenta volte. I libri sono diventati giornaletti, ed è nato il feuilleton: all’inizio erano bruttissimi, in seguito però sono arrivati i grandi illustratori che hanno dato vita all’illustrazione su carta stampata, un’esplosione di creatività. Noi viviamo un momento in cui il mondo fantastico del digitale non ha ancora generato una propria estetica, e la sta ancora sperimentando.

Da Vinci Experience, proprio per la sua impostazione digitale, per l’uso di luci e di suoni, sarà in grado di attrarre un grande pubblico, tra cui molti giovani e molti inesperti del settore…

Certo, l’effetto primo è il salto numerico! Se non ci fosse stata la stampa, il Don Chisciotte non sarebbe mai diventato pazzo; è impazzito perché leggeva troppi romanzi. Questo personaggio è in qualche modo il primo esempio del nostro rapporto con il mondo virtuale; il primo che cade in internet è don Chisciotte, perché ha così tanti libri che inizia a fantasticare su cose che non esistono, immaginando una vita da cavaliere a cui non è affatto preparato.

Ringraziamo Philippe Daverio per la grande disponibilità e professionalità!

di Francesca Trivella

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