Nicolas de Contades – “La mia moda tra arte e contaminazione”

 

Abbigliamento, accessori, stickers, installazioni artistiche. GarpArt parte dall’abito da indossare, moderno e destrutturato, per creare, su di esso, un gioco di ricche suggestioni e contaminazioni artistiche. Indossare è espressione di se stessi, della propria visione del mondo, di un sentire e di creatività. Vogliamo entrare nel “mondo secondo GarpArt”, approfondire, in questo speciale incontro con Nicolas de Contades, creatore della linea, le dinamiche del dialogo tra moda, arte, design e comunicazione, indagarne i confini, per scoprire come, nell’immagine fresca, moderna, ironica del brand, essi riescano magicamente a perdersi.

Perchè “GarpArt”? A quale suggestione è dovuta la scelta di questo nome?
Il nome del brand è un omaggio al protagonista del romanzo “Il mondo secondo Garp” dello scrittore John Irving. Uno splendido romanzo che definirei sulle assenze. Nel libro il protagonista è un bambino nato da un rapporto di sua madre con un soldato reduce dal Vietnam in stato semi-comatoso. Privato del padre, lungo il romanzo Garp perde pezzi, e lo stesso fanno gli altri personaggi. A pezzi, circondati da assenze e mancanze, quei personaggi sprigionano umorismo, strappano risate anche nei momenti drammatici e continuano a vivere, nonostante tutto, con un approccio alle loro vite ironico, pragmatico, a tratti grottesco, ma mai rassegnati.

Attorno alle mancanze e alle privazioni loro costruiscono, consapevoli che la loro vita è soprattutto questo: un costante stato di imperfezione. L’imperfezione a cui l’uomo è condannato è tema molto dibattuto in campo artistico. Lo stilista, così umano, come mi sento io, nell’esprimere se stesso cerca sempre di superarsi. Ho tanto cuore e tanta passione per il mio lavoro, ma nonostante questo mi rendo conto di quanto la perfezione sia una cosa irraggiungibile. Sono un perfezionista e di conseguenza estremamente autocritico; questo lavoro, per me, è un continuo imparare.

Nicolas ci ha accolto in casa sua per l’intervista. La casa è piena di libri, quadri di artisti contemporanei, oggetti d’arredo di design.

Il suo amore per tutte le forme artistiche e la cultura è immediatamente percepito, non ci stupisce questo legame di GarpArt con la letteratura e l’arte figurativa. Si sente un po’ on the edge”, al confine tra moda e arte? E come nasce lo spirito della linea GarpArt?
Oggi i margini di contaminazione, sovrapposizione e collaborazione tra moda e arte sono ampi. Ci sono abiti considerati vere e proprie opere d’arte. Retrospettive di stilisti che invadono le sale dei musei. Gli stilisti si sono lasciati contagiare dai linguaggi dell’arte, ma oggi è corretto o meglio si può ancora parlare di confine netto tra questi due mondi? Collaborazioni e reciproche contaminazioni tra designer e artisti, fino dalle esperienze del surrealismo sembrano certificare un processo di ibridazioni tra i due campi. Al tempo stesso la moda si presenta come un’arte sui generis che, caratterizzata da tratti tipici dell’artigianato, è legata a doppio filo all’industria, appare molto lontano dall’ideale dell’arte.

Personalmente amo l’arte, la moda, l’artigianato e le contaminazioni. Mi ritengo una persona molto curiosa. Con GarpArt ho voluto unire queste mie grandi passioni, partendo da quella che mi rappresenta di più: il disegno. Dall’esigenza tutta personale di avere delle magliette con grafiche di rilevanza artistica è nato il sodalizio con Fausto Gilberti, artista straordinario, di sottile ironia. Volevo portare la sua arte al di fuori dei musei e condividerla con tutti, associandola ad un prodotto ben rifinito. Volevo evitare il prodotto da bookshop museale, per questo ho curato attentamente la scelta dei tessuti, i tagli delle mie prime t-shirts e studiato un packaging accurato. Il prodotto doveva essere innanzitutto di qualità. Contaminazioni simili, come dicevo, avvengono da tempo nella moda, anche se quello che personalmente tengo a rifiutare è l’operazione di marketing. Voglio esprimere semplicemente il mio sentire, comunicare agli altri ciò che mi piace e che amo.

Nel corso degli anni ha incominciato ad inserire i primi capi d’abbigliamento, generalmente oversize, espressione di femminilità e “easy to wear.”, trattati spesso secondo il gioco dell’equivoco, simulando l’illusione ottica dei due pezzi attraverso tagli e giochi di colore, sdrammatizzati. Qualè il percorso, l’iter creativo della sua collezione? Quali sono i tratti distintivi di quella attualmente in vendita?
Non seguo le mode, il mio processo creativo è essenzialmente libero. Esco con una collezione l’anno, l’estivo, e ogni volta il nascere dei capi come degli accessori è un divenire che si snoda secondo ciò che mi attrae in quel momento. Paradossalmente mi rendo conto del risultato solo alla fine, a collezione conclusa. Gli stimoli più ampi possono essere la musica, il cinema, la letteratura, l’arte, ma anche i mercatini in giro per Milano o per il mondo, le persone che incontro e le tecnologie come internet.
I tagli degli abiti sono minimali e talvolta asimmetrici. Mi piace la purezza, la freschezza e la leggerezza. Quest’anno ho usato tanta organza di seta, creando giochi di trasparenze su abiti, gonne e top, dolci e femminili grazie alla presenza di pleats e arricciature. Mi piace combinare tessuti e materiali con pesi e aspetti contrastanti, ad esempio cotone e pvc, ma anche jersey e popeline. La seta invece è generalmente stampata con forme geometriche e raffinate.
Infine ho inserito in collezione il camouflage: il contrasto tra la purezza dei miei abiti e il sapore “guerriero” del camouflage ha dato un accento ironico alla collezione a cui tengo molto proprio per quello spirito di ironia e soprattutto autoironia che non voglio perdere.

A proposito di ironia, le sue collezioni comprendono una parte di forte impatto comunicativo, t-shirt con scritte, associazioni di immagini e frasi, personaggi stilizzati come fumetti. Sembra strizzi l’occhio ad un realismo riletto in chiave ironica e talvolta dissacrante. Ha un messaggio in particolare che vuole comunicare con la sua linea?
La vita e la società in generale hanno mille contraddizioni, ma il mio modo di esprimerle rimane essenzialmente un gioco, innocenti, gioiose provocazioni da indossare. L’arte d’altronde porta sempre un messaggio con sé che sia più o meno velato. Per questo per le mie stampe ho scelto lo stile ricco di divertissement di Fausto Gilberti; l’omino/personaggio presente in tutte le opere su carta e su tela dell’artista, è considerato oggi, a ragion veduta, quasi un’ icona del mondo secondo GarpArt.

L’omino che fuma nasce in occasione del Salone del Mobile di Milano del 2006 quando con GarpArt abbiamo immaginato il personaggio di Gilberti, trasformato in maxi sticker in vinile adesivo, relazionarsi alla controversa opera “My Bed” dell’artista Tracey Emin, un’installazione costituita da un letto disfatto, attorno e sopra il quale sono disseminati oggetti privati. Mi piace l’idea che il mio lavoro susciti un sorriso o una riflessione leggera.

P.S. L’essenza dell’interattività, tema del mese di Gilt magazine, si trova innanzitutto dentro di noi. É l’instancabile desiderio di sapere, di conoscere, di avere mille stimoli, di essere semplicemente curiosi, la vera sorgente della creatività.

 

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(di Nicole Leonardi Vedova)

 

2 Comments

  1. Ho letto con piacere l’intervista a Nicolas De Contades…ne esce molto chiaramente un personaggio “puro” e non contaminato…continui cosi, distinguendosi e andando anche un po’ contro corrente rispetto al cosiddetto mondo della moda-marketing che purtroppo fa a pugni con l’arte …quella scelta da Nicolas.

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