Don’t worry darling: thriller e filtri per il film più “social” dell’anno

L’atteso film di Olivia Wilde con Harry Styles arriva a Venezia79

di Anna Beggio

Trovatosi in mezzo a diversi imprevisti e gossip, il film di Olivia Wilde non ha conosciuto un percorso produttivo lineare. Harry Styles non era la prima scelta per questo film e inizialmente Olivia doveva interpretare Alice, la protagonista. Se il primo delude, Florence Pugh come Alice, invece, diventa l’elemento  vincente del film, in grado di salvarlo dalle diverse pecche narrative.  

Il film riprende il concept classico del binomio verità-illusione, che trova le sue radici più emblematiche in “Truman show”, “Matrix” e “Strange days”, ma si concentra sulla critica a quel mondo patinato in cui ci rifugiamo per non affrontare la vita vera, fatta di problemi, imperfezioni, disordine. Più volte il film rimarca sul binomio ordine-disordine, costrizione-libertà, suggerendo che la libertà sta nell’accettare la vita con le sue imperfezioni senza pretendere di controllarla come il demiurgo di “Truman show”.

Questa volta, infatti, il protagonista (Jack, marito di Alice) che imprigiona se stesso e la moglie nel mondo illusorio, lo fa di sua  spontanea volontà, e non vi si ritrova dentro dalla nascita come Truman. I richiami ai grandi film sci-fi e allegorici citati sopra risultano semplici echi lontani; il film ha una natura tutta propria, il che è anche giusto se non si vuole cadere nel meccanismo “brutta copia”.  

Ovviamente consigliamo di vederlo per scoprire di che natura si tratti questo mondo illusorio e se e come Alice riuscirà a uscirne. Le suggestioni saranno numerose, ma si ha l’impressione che la regista non riesca a dire la sua fino in fondo. Il film a un certo punto risulta ripetitivo, perdendo la carica suggestiva dell’inizio, fino a che non procede alla risoluzione. In altre parole si rimane un po’ delusi nella seconda parte del film. Bello vedere questa commistione di linguaggio social-televisivo con i codici del cinema (thriller, horror…), e bisogna riconoscere alcune originalità, ma con maggiore coraggio nella narrazione avrebbe potuto incidere di più.  

Che sia anche lo specchio di una crisi? Stiamo uscendo da anni difficili, in cui il mondo dei social è stato un po’ un rifugio e in cui a volte ci è sembrato che aldilà delle immagini ci fosse solo vuoto…Forse c’è bisogno di un cinema attuale in questo senso. Così come il neorealismo raccontava lo smarrimento del Dopoguerra, ora un certo cinema ci racconta una sensazione di prigionia e una crisi  dell’immaginario e dei sogni, e dunque una crisi del cinema stesso, un urlo di dolore. Paradossale, perché passa attraverso una regista con poca personalità artistica, totalmente opposta a un Visconti o un De Sica,  ma comunque coraggiosa.

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