Intervista a Giorgio Pasotti

Appassionato di karate e arti marziali, Giorgio Pasotti fa ritorno in Italia dalla Cina nel 1994, e nel 1998 fa la sua prima apparizione televisiva sul grande schermo diretto dall’importante regista italiano Gabriele Muccino nel film “I piccoli maestri”, tratto dal romanzo sulla Resistenza di Luigi Meneghello. Successivamente sarà conduttore e attore teatrale, posizionandosi tra gli attori italiani più importanti e apprezzati nel panorama italiano.

Dal 5 al 22 maggio sarà impegnato nello spettacolo “Il metodo”, thriller psicologico improntato sulla competitività e i risvolti crudeli nei luoghi di lavoro, tra menzogne e strategie, realtà e fantasia. Gilt lo ha intervistato per voi.

Parliamo del Thriller psicologico che ti vede impegnato in questo momento. Vorremmo sapere, se non avesse fatto l’attore, Giorgio Pasotti chi sarebbe diventato, forse un Manager?

Un medico. In realtà in una vita ormai precedente ero uno sportivo, con laurea presso l’Università cinese di Pechino in medicina tradizionale cinese, quindi avrei proseguito con il percorso di medicina e sarei diventato una sorta di medico sportivo, un preparatore atletico.

Cosa pensa della crudeltà sul posto di lavoro? Le è mai capitato, come accade nel thriller che sta interpretando, di vivere una situazione simile a quella? Qualcuno che magari abbia tentato di metterle i bastoni fra le ruote?

Laddove ci sono molti soldi, laddove ci sono grandi interessi, va da sé che inevitabilmente esistano questo tipo di realtà, realtà molto conflittuali e competitive. Poi ci sono anche gli screzi, i bastoni tra le ruote, questa è una conseguenza piuttosto naturale; non lo dovrebbe essere, ma in realtà succede.  Non mi è mai capitato di essere spettatore di una realtà come questa nel mio mondo, ma so che esistono, sarebbe assurdo pensare il contrario.

Avendo una lunga esperienza cinematografica, teatrale, sappiamo che sei stato anche regista, in quale ruolo ti rivedi di più?  

La realtà è che sono molto diversi gli uni dagli altri, stare da questa parte come stare dietro cambia completamente la tua prospettiva, la visione che hai del tuo stesso mestiere. E’ ovvio che fare il regista richiede di assumersi molte più responsabilità, poiché si ha la macchina e la possibilità di descrivere una storia su un punto di vista e una visione personalissima degli accadimenti, piaccia o meno, rimane una tua visione personale. E’ una sensazione di grande libertà, di grande potere all’interno della macchina filmica. E’ di gran lunga più faticoso, stressante dal punto di vista psicofisico perché la responsabilità è abnorme rispetto al recitare. In quel caso si studia una parte, la si recita e poi si va a casa tranquilli, è quasi come fare il mestiere dell’operaio. Il regista è il direttore d’orchestra, quindi deve innanzitutto conoscere ogni singolo strumento della macchina, e poi saperlo gestire, e saper risolvere i problemi che inevitabilmente nascono sul Set.  Il tutto per dire che, nonostante tutta questa fatica, è un mestiere meraviglioso che mi auguro di ripetere. Premia molto.  

di Letizia Turrà

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