Donato Carrisi: il narratore, il regista, l’uomo

Donato Carrisi ci racconta del suo ultimo romanzo "La casa delle luci" e di quale sia il suo approccio alla scrittura

di Camilla Prampolini

Donato Carrisi: il maestro di thriller italiano più venduto al mondo. Inutile dirlo, il suo ultimo bestseller ha già venduto oltre 215.000 copie, viene tradotto in più di 30 lingue nel mondo, ma dietro questo enorme successo troviamo una persona affabile, che anche nel descrivere un semplice episodio della sua vita dimostra il suo grande talento di narratore rapendoci proprio come in uno dei suoi romanzi.

Come mai  ha scelto l’ipnosi nel suo ultimo libro e che cosa l’ha spinta a scegliere questo tipo di pratica terapeutica ancora poco esperita rispetto a quelle tradizionali?

L’ipnosi è sempre stato un tema affascinante. Erano anni che volevo affrontare l’argomento, poi mi sono sottoposto a una seduta di ipnosi e lì è cambiato tutto e ho capito che potevo raccontarlo. In realtà non è stata un’esperienza positiva all’inizio; nello studio di questa ipnotista di Milano, in un pomeriggio di fine giugno, in una bellissima giornata di sole, ricordo di essermi  steso sul lettino guardando il parco alle spalle della psicologa. Poi chiusi gli occhi mentre lei guidava la mia trans e pensavo tra me “ma quand’è che finisce questo strazio?!”. Ero pienamente cosciente di tutto quello che stava succedendo, addirittura mi prudeva il naso e non volevo grattarmelo per paura di deluderla. Dopo mezz’ora mi ha risvegliato da questo stato, o per lo meno cosi pensava lei, ed è li che la giornata di sole alle spalle della psicologa stava degradando verso il tramonto […] erano trascorse tre ore e io non me ne ero accorto. Ho capito che l’ipnosi era un viaggio dentro se stessi: non si perde la consapevolezza di sé, semmai la si acuisce. E lì ho capito che era raccontabile.

Focalizzandoci sul personaggio protagonista del suo romanzo, Pietro Gerber, è presente un tratto autobiografico? Da dove nasce l’ispirazione?

Tendo sempre a creare dei personaggi che siano diversi da me, altrimenti che gusto c’è? Per esempio, hanno tutti i capelli i miei personaggi (risata), non ci sono calvi nei miei libri, il divertimento è proprio quello! Pietro Gerber ha diversi caratteri di persone che ho conosciuto nel corso della mia vita: non solo uomini, ma anche donne, perché no? Un personaggio maschile può avere anche delle caratteristiche femminili interessanti. E poi l’idea dell’addormentatore di bambini era molto potente; io penso di essere partito proprio da questa definizione, quella dell’ipnotista, per creare poi il personaggio.

Lei è considerato il portavoce italiano del genere thriller, viene tradotto in tutto il mondo raggiungendo quasi 4.7 milioni di copie; quanto l’Italia è d’ispirazione nei suoi libri?

Noi siamo stati maestri di suspence per tanto tempo, sia in letteratura che nel cinema; soltanto che ad un certo punto abbiamo dimenticato questa nostra esperienza e io voglio rivitalizzarla in qualche modo. Il mio stile deriva da altri stili, però poi ho creato una commistione anche con gli americani, che mi piacevano tanto. Il mio thriller di riferimento è anglosassone. Però volevo che fosse un thriller fortemente europeo, per cui più che l’Italia lo definirei europeo. 

C’è stato un lavoro in simultanea tra i suoi testi?

C’è sempre un lavoro in simultanea, io lavoro due anni su un romanzo, per cui sono due anni di creazione e chiaramente nei due anni lavoro su più romanzi contemporaneamente, poi c’è una delle storie che prende il largo e capisco che quella può arrivare a destinazione.

A proposito dei film, che cosa la spinge a rendere uno dei suoi testi un’opera per gli schermi ? 

Ho iniziato come sceneggiatore, per cui è normale che io scriva per immagini. Nei miei romanzi, infatti, c’è uno svolgimento per immagini. Molti lettori mi vengono a dire che “leggere un tuo libro è un po come guardare un film”, ed è naturale che questa cosa abbia successo, perché questo è il momento del racconto per immagine; non a caso siamo nel momento del successo delle serie tv, che non sono altro che romanzi suddivisi in puntate. [..] Probabilmente il mio successo deriva anche da questo, perché la parola è legata strettamente all’immagine, e io voglio che il lettore veda la storia, non che la legga semplicemente.  

Pensa che “La casa delle luci” diventerà un film?

Chi può dirlo; (pausa) è scritto per immagine, il destino sarà quello.

Un’ ultima domanda, quali sono le sue sensazioni mentre scrive un romanzo? Ha lo stesso senso di angoscia di noi lettori? 

Ovviamente. Stessa paura. Angoscia non direi. Stessa paura. Quel solletico nella pancia che provavamo tutti da bambini mentre giocavamo a nascondino, no?! Il timore di essere scoperti, ma anche quel brivido nella pancia. Ecco, io tendo a ricreare quello, e lo provo anche mentre scrivo.

Un ringraziamento speciale a Donato Carrisi per la sua grande disponibilità, augurandogli il meglio per i suoi progetti futuri e la sua brillante carriera.

Lascia un commento

Your email address will not be published.