Il Teatro alla Scala inaugura la stagione 2025/2026 con “Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmitri Šostakovič”

In ricordo del cinquantesimo anniversario della scomparsa del compositore

di Alessia Masciulli

La collaborazione tra il Maestro Riccardo Chailly e il Teatro alla Scala

Le opere di Giuseppe Verdi, dai titoli giovanili fino a Aida e Don Carlo, la scoperta delle versioni originali di titoli pucciniani, sono solo alcuni dei percorsi approfonditi dal Maestro in un rapporto sempre più stretto con l’Orchestra e il Coro scaligeri. Tra questi filoni, anche il repertorio russo: con Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk Chailly corona un percorso iniziato nel lontano 199.

Il rapporto di Riccardo Chailly con la produzione operistica di Šostakovič risale a più di cinquant’anni fa; da una parte, la profonda tecnica compositiva di uno Šostakovič appena ventiquattrenne che realizza un’orchestrazione di rara fattura, dall’altra, una conoscenza capillare del patrimonio delle melodie popolari russe, fattore determinante per lo strabiliante successo riscosso nel periodo precedente alla sua censura, che porta questo titolo a essere rappresentato quasi duecento volte tra Leningrado e Mosca nell’arco di un anno e mezzo.

La regia

Vasily Barkhatov segna con questa regia il suo debutto scaligero. Quello tra direzione musicale e regia è stato in questo caso un lavoro capillare e profondo nella partitura, iniziato da molto tempo.  Ne deriva una regia concentrata sul personaggio di Katerina Izmajlova, in una drammaturgia che si sviluppa lungo i suoi ricordi e le sue confessioni, una donna che, lottando per la sua identità, compie un gesto efferato. 

Un’opera che parla ancora molto al presente e porta in scena, ad esempio, l’attuale tema della libertà sessuale, una delle conquiste della Rivoluzione Russa, che, come si diceva al tempo, avrebbe dovuto garantire che la possibilità di soddisfare i propri istinti dovesse essere semplice come “bere un bicchier d’acqua” quando si ha sete. Ma è nel 1934, anno di pubblicazione dell’opera, che l’Unione Sovietica introduce il divieto di aborto, cerca di assumere contromisure significative contro il divorzio e mette al bando l’omosessualità. Come ci ricorda Franco Pulcini, tra gli altri, “il successo dell’opera coincide con l’abolizione di tale libertà”, e rappresenta in qualche modo un riscatto di queste libertà perdute.

Del resto, Šostakovič ambienta la vicenda nel mondo provinciale del distretto di Mcensk, una società rurale, arretrata e patriarcale, che fa sì che il testo sia connotato da un linguaggio esplicito e prosaico, atto a rappresentare una società fortemente patriarcale in cui la considerazione della donna è estremamente arretrata, e che il compositore mette in scena per condannarla.

L’opera

Il compositore, autore anche del libretto tratto dal romanzo di Nikolaj Leskov, aveva immaginato l’opera come prima anta di un trittico che avrebbe descritto la condizione della donna in diverse epoche della storia russa. La vicenda, ambientata nella campagna russa negli anni 1860 (la servitù della gleba è abolita nel 1861), vede protagonista la giovane Katerina Izmajlova che, sposata contro la sua volontà a un giovane possidente imbelle e soggetta alle angherie anche sessuali del suocero, è attratta dal garzone Sergej, sfacciato e brutale. Quando il suocero li scopre e frusta Sergej, Katerina lo avvelena con una zuppa di funghi. Al ritorno del marito, Katerina e Sergej si liberano anche di lui e si sposano, ma durante la cerimonia un servo scopre il cadavere del primo marito nascosto in cantina. Katerina e Sergej (che nel racconto di Leskov uccidono anche un nipote per sottrargli l’eredità) sono condannati ai lavori forzati. Durante il viaggio Sergej preferisce a Katerina una ragazza più giovane: Katerina la uccide trascinandola con sé nelle acque ghiacciate del fiume.    

Dopo la doppia prima, il 22 gennaio 1934 a Leningrado e due giorni dopo a Mosca, l’opera gode di un clamoroso succès de scandale, sia per la spietata critica sociale sia per l’inedito realismo nella rappresentazione della sessualità. Šostakovič abbandona la vena satirica astratta e surreale della sua prima opera, Il naso, per rifarsi alla ruvida aderenza al vero di Musorgskij, e il pubblico risponde entusiasta: duecento rappresentazioni in due anni tra Leningrado e Mosca.

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