La protagonista, Grace, interpretata con intensità da Nicole Kidman, arriva in una remota cittadina sulle montagne del Colorado, in fuga da una banda di gangster. La comunità locale, incitata dal giovane idealista Tom, decide inizialmente di nasconderla. Ma quello che inizia come un atto di compassione si trasforma presto in un’inesorabile spirale di sfruttamento e crudeltà.
In cambio dell’ospitalità, Grace si offre di lavorare per gli abitanti. Tuttavia, man mano che cresce il timore di essere scoperti, gli stessi che l’hanno accolta iniziano a pretendere sempre di più. Il villaggio di Dogville si svela per ciò che è realmente: non un rifugio, ma un microcosmo brutale in cui l’apparente gentilezza nasconde un lato oscuro e perverso. L’anima della cittadina si deteriora, trasformando ogni favore in ricatto, ogni gesto in dominio.
La narrazione, essenziale e priva di scenografie realistiche, ci costringe a concentrarci sui volti, sui silenzi e sugli sguardi: è il teatro dell’animo umano messo a nudo. Il risultato è un’opera disturbante e lucida, che smaschera l’illusione della moralità collettiva e ci pone una domanda scomoda: cosa siamo disposti a fare quando il potere cambia mani?
Ma Grace non è una vittima passiva. Dietro la sua dolcezza si nasconde un segreto inconfessabile, e quando il tempo delle concessioni finisce, sarà lei a decidere il destino di Dogville. Una vendetta chirurgica, che ribalta i ruoli e lascia il pubblico inchiodato alle proprie contraddizioni morali.
Dogville è una denuncia sociale e una lezione di cinema senza compromessi. Lars von Trier costringe lo spettatore a guardarsi dentro, a riflettere sulle sfumature del bene e del male, e su quanto siamo davvero “migliori” delle persone che giudichiamo