Scrivere queste parole è uno dei compiti più difficili della mia vita. Perché oggi il dolore non è solo mio, ma di un intero Paese, di un mondo intero: Giorgio Armani non c’è più. Eppure la sua eredità vive in ognuno di noi, in chiunque abbia indossato un suo abito, in chiunque abbia imparato a guardare la moda come qualcosa che va oltre i vestiti, come linguaggio, identità, rivoluzione.
Armani non è stato soltanto un grande stilista: è stato un architetto di sogni e di stile. Nato a Piacenza nel 1934, iniziò la sua carriera lontano dalla moda, come vetrinista e fotografo, per poi approdare a Milano negli anni Sessanta, dove lavorò con Nino Cerruti. Nel 1975 fondò la sua casa di moda insieme a Sergio Galeotti, con il coraggio e la visione di chi non si accontenta, di chi sa che può cambiare le regole. E da lì nulla fu più come prima.
Negli anni ’80 Armani scosse il mondo intero con il suo segno più riconoscibile: la giacca destrutturata. Un gesto apparentemente semplice, ma rivoluzionario. Togliere le rigidità, liberare il corpo, ridare leggerezza al formale: Armani inventò un nuovo modo di vestire, elegante ma mai forzato, rigoroso ma fluido, austero e sensuale allo stesso tempo. Fu lui a introdurre il concetto moderno di “power dressing”: uomini e donne che attraverso i suoi abiti comunicavano autorità, sicurezza, fascino.
Hollywood lo consacrò: Richard Gere in American Gigolo, vestito Armani dalla testa ai piedi, divenne un’icona di stile planetaria. Poi arrivarono le red carpet, le star, le dive che non potevano fare a meno dei suoi abiti per sentirsi davvero se stesse davanti ai riflettori. Armani vestì re e regine, atleti e artisti, ma senza mai smarrire la sua cifra: un’eleganza che era disciplina, pulizia, sottrazione.
Ha rivoluzionato non solo l’abbigliamento, ma anche il modo di fare impresa. È stato tra i primi a intuire il potere del brand come universo: moda, accessori, beauty, profumi, fino a hotel e ristoranti. Armani non era solo uno stilista, era un visionario capace di trasformare il suo nome in un impero che ha portato l’Italia nel mondo e il mondo in Italia.
Eppure, dietro questa grandezza, c’era sempre la sua discrezione. Un uomo schivo, riservato, profondamente legato al lavoro e alla sua Milano, che non ha mai smesso di amare. Un uomo che ha attraversato i decenni senza mai inseguire le mode effimere, ma restando fedele a un’idea: che la moda debba esaltare la persona, mai sovrastarla.
Oggi, nel silenzio che lascia la sua assenza, sento dentro un vuoto incolmabile. Per me, e per chi come me ha respirato la moda da vicino, Armani è stato un punto fermo, un faro. E so che continuerà a esserlo: perché il suo segno è eterno. In ogni giacca morbida, in ogni silhouette essenziale, in ogni passo sicuro su una passerella, Giorgio Armani continua a vivere.
Oggi piango l’uomo, il Maestro, l’amico silenzioso che ci ha guidati. Ma allo stesso tempo celebro la sua vita straordinaria, capace di cambiare per sempre la storia del costume. Armani non se ne va. Rimane con noi, nelle nostre vite, nei nostri sguardi, nel nostro modo di concepire la bellezza.
Grazie, Giorgio. Con te, la moda ha imparato a respirare.
