È difficile non notarlo: ha un sorriso disarmante, un eloquio diretto, e quello sguardo lucido che tradisce la mente abituata al ragionamento matematico. Papa Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost, è il nuovo volto della Chiesa Cattolica. Primo pontefice statunitense nella storia, è già riuscito a farsi apprezzare non solo per il suo profilo spirituale, ma anche per la sua umanità sorprendentemente concreta.
Nato nel 1955 a Chicago, Prevost arriva al soglio pontificio con una formazione inusuale: una laurea in Matematica, studi di Teologia e anni passati a insegnare Diritto canonico in Perù. In un contesto ecclesiastico dove spesso si predilige la diplomazia alle opinioni dirette, lui spicca per sobrietà e chiarezza. È uno che non alza mai la voce, ma che sa farsi ascoltare. E non solo per la carica che ricopre.
Il suo spagnolo è impeccabile, come l’italiano. Alterna le lingue con una naturalezza che non è ostentazione, ma semplice parte della sua identità. D’altronde, in America Latina ha vissuto oltre dieci anni, tra le parrocchie e le comunità più periferiche del Perù, in mezzo alla gente, senza formalismi. È lì che ha maturato la sua vocazione più profonda. Tanto che, nel 2015, ha acquisito anche la cittadinanza peruviana. Non una formalità: una scelta che oggi gli permette di essere percepito come un Papa non americano, non europeo, ma universale.
Chi conosceva bene Papa Francesco lo sa: Prevost era tra i suoi fidati. Fu proprio Bergoglio a volerlo alla guida del Dicastero per i Vescovi e alla Commissione per l’America Latina, due snodi cruciali per la Chiesa del futuro. E in effetti, il nuovo Papa sembra ereditare quella stessa attenzione per il Sud del mondo, quella sobrietà che rifugge la pompa, quella lucidità che preferisce i gesti alle dichiarazioni.
Eppure, è proprio nei dettagli che Leone XIV sorprende di più. Ama guidare, letteralmente: niente autisti, preferisce mettersi al volante da solo. Non ama essere servito. E ha un’ironia contagiosa. Lo racconta chi ha lavorato con lui: nelle pause, rideva volentieri rievocando le scenette di Aldo, Giovanni e Giacomo, mimando perfino la celebre gag dei bulgari. Un pontefice che scherza, che ama ridere, che non si prende troppo sul serio: un tratto che, per molti, vale più di mille encicliche.
Nei momenti liberi legge, cammina, viaggia. E sì, giocava anche a tennis, quando il tempo lo permetteva. «Mi manca il campo», ha confidato con un filo di malinconia. È anche un appassionato di baseball, ma attenzione: tifa White Sox, non Cubs — come qualcuno, erroneamente, aveva scritto all’indomani della sua elezione. Lo ha confermato il fratello John, senza possibilità di smentita.
Ma c’è un altro aspetto che ha già fatto discutere: la sua voce pubblica e netta su alcuni temi politici. Papa Leone XIV ha più volte criticato l’amministrazione Trump, in particolare per le scelte sull’immigrazione, e ha recentemente replicato via social a JD Vance, che aveva proposto una gerarchia nell’amore cristiano: «prima la famiglia, poi i vicini, i concittadini e infine il mondo». La risposta del Papa? Secca e teologica: «Gesù non ci chiede di ordinare il nostro amore per gli altri». Un commento che, in poche ore, ha fatto il giro del mondo.
In un’epoca in cui la figura del Papa rischia di sembrare distante o ingessata, Leone XIV sembra portare una nuova grammatica: quella della normalità, della competenza, e dell’umorismo. Forse è proprio questo che lo rende così diverso. Così vicino.