Alla Mostra del Cinema di Venezia, tra i titoli che hanno diviso e fatto discutere, The Testament of Ann Lee di Mona Fastvold è forse quello che più ha colpito per radicalità e intensità. Non una semplice biografia, ma un viaggio sensoriale e spirituale che trasforma la storia della fondatrice degli Shaker in un’esperienza cinematografica estrema. Amanda Seyfried, nei panni di Ann Lee, consegna una delle interpretazioni più coraggiose della sua carriera, sospesa tra misticismo e tragedia.
Una donna contro il suo tempo
Il film racconta la vita di Ann Lee, figura mistica del XVIII secolo che, dopo aver perso i suoi quattro figli in tenera età, si trasforma in leader spirituale. Convinta di incarnare la parte femminile del Cristo, fonda una comunità utopica che predica il celibato, l’uguaglianza tra i sessi e una forma di devozione fatta di canti estatici e rituali fisici. Con pochi seguaci approda in America, dove costruisce una società alternativa capace di sfidare l’ordine religioso e sociale del suo tempo.
Un linguaggio filmico radicale
Fastvold gira interamente in 70 mm, dando vita a un’opera dal respiro epico e sensoriale. Il film non si limita a raccontare: mostra il dolore del parto e della perdita, la fisicità della fede, il trasporto dei canti religiosi. Latte materno, sangue e sudore diventano parte integrante della messa in scena, con una forza visiva che non lascia indifferenti.
Se per alcuni The Testament of Ann Lee è un film eccessivo, per altri è un capolavoro che ridefinisce i confini del biopic spirituale. Di certo, Fastvold firma un’opera radicale che affronta il dolore e la fede con un coraggio raro, consegnando al pubblico un ritratto di donna che, tre secoli fa, ebbe la forza di immaginare un mondo diverso.
Un film che scuote, turba e divide, ma che conferma la vitalità di un cinema capace ancora di rischiare tutto pur di essere autentico.
