Ci sono film che raccontano storie e film che costruiscono visioni. Sotto le Nuvole, presentato in concorso a Venezia 82, appartiene alla seconda categoria: non cerca di sedurre con una trama serrata, ma invita a lasciarsi attraversare dal ritmo lento e dalla bellezza sospesa delle sue immagini.
Napoli diventa una passerella silenziosa, una città che sfila davanti allo sguardo dello spettatore avvolta in un bianco e nero che leviga, scolpisce, esalta. Non c’è retorica, non c’è cartolina. Solo frammenti che si rincorrono come dettagli di una collezione couture: archeologi al lavoro, volti anonimi che emergono dall’ombra, gesti quotidiani che si trasformano in icone.
La regia costruisce un linguaggio che ha la stessa cura di un abito fatto a mano. Ogni inquadratura è un tessuto prezioso, ogni movimento di camera è una cucitura. È un cinema che pretende tempo, che chiede di fermarsi e contemplare. Non concede facili emozioni, ma lascia dietro di sé la sensazione di aver assistito a un rituale estetico raro.
La scena dei due cavalli sulla battigia, sotto un cielo carico di presagi, è forse l’immagine che più resta impressa: un’epifania visiva che condensa fragilità e resistenza, caducità e grazia. È qui che il film rivela il suo cuore: Napoli come metafora universale, città che cade e si rialza, luogo dove il passato continua a dialogare con il presente.
Certo, la struttura è frammentaria, volutamente discontinua. Non tutti troveranno in questo mosaico il filo da seguire. Ma proprio in questa libertà risiede la forza del film: non guidare, ma suggerire. Non raccontare, ma evocare.Sotto le Nuvole è cinema d’autore che guarda al lusso non come ostentazione, ma come esercizio di stile: il lusso del tempo, dell’attesa, dello sguardo lento. È un film che chiede attenzione, che offre poesia e che si impone come esperienza più che come racconto. In un’epoca di consumo rapido, è un invito prezioso: prendersi il tempo di guardare davvero.



