Ci sono film che raccontano, e film che riescono a trasportarti in un’epoca. Newport & the Great Folk Dream, diretto da Robert Gordon, appartiene senza dubbio alla seconda categoria. Non è solo un documentario musicale: è una macchina del tempo che riporta lo spettatore negli anni ’60, quando il Newport Folk Festival era molto più di un palco—era un crocevia di culture, di battaglie civili e di ideali pronti a cambiare il mondo.
Il pregio più grande del film è la sua capacità di coniugare memoria e presente. Grazie a centinaia di ore di registrazioni ritrovate e mai mostrate prima, Gordon restituisce al pubblico non soltanto l’energia di leggende come Bob Dylan, Joan Baez, Johnny Cash e Pete Seeger, ma anche il valore di voci meno conosciute, provenienti da comunità rurali, gospel e tradizioni popolari dimenticate. Ogni canzone diventa un tassello di un mosaico sociale che racconta un’America ferita, ma viva, che cerca riscatto attraverso la musica.
Il documentario vibra di autenticità: non c’è enfasi superflua, non c’è retorica. Il montaggio, elegante e ritmato, accompagna lo spettatore in un flusso che alterna concerti, interviste e immagini d’archivio con naturalezza. Ci si ritrova così immersi in una stagione irripetibile, dove una ballata poteva avere la stessa forza di un discorso politico.
Non manca però un lato critico. Alcuni passaggi, soprattutto per chi non è già appassionato di folk, rischiano di sembrare distanti o eccessivamente nostalgici. Il racconto, in certi momenti, si affida un po’ troppo alla magia dell’archivio senza aggiungere un contrappunto narrativo più forte. Ma è una piccola crepa in un’opera che ha il merito di ricordarci quanto la musica sia stata, e possa ancora essere, strumento di cambiamento sociale.
Newport & the Great Folk Dream non è soltanto la celebrazione di un festival, ma l’affresco di un’epoca in cui la speranza si cantava a voce alta. E guardandolo, non si può fare a meno di chiedersi: oggi, quale musica accompagnerà i nostri sogni collettivi?
