L’Étranger: il silenzio di Meursault, la voce di Ozon

Il regista francese porta Camus al cinema con un bianco e nero sospeso e spietato: un film che divide, tra rigore estetico e freddezza esistenziale

a cura della Redazione

François Ozon affronta con coraggio una delle opere più dense e inafferrabili del Novecento: L’Étranger di Albert Camus. Portare sullo schermo un testo così centrale, così intriso di filosofia e di assenza, era un rischio evidente. Il risultato, presentato a Venezia, è un film che non cerca di adattare il romanzo in modo didascalico, ma di tradurne lo spirito, trasformando il distacco esistenziale di Meursault in immagini ipnotiche, fredde e penetranti.

Il bianco e nero scelto da Ozon non è semplice omaggio al passato, ma un linguaggio che riduce il mondo all’essenziale: luce e ombra, vita e morte, presenza e vuoto. Benjamin Voisin, nel ruolo di Meursault, è un corpo vivo e insieme già alieno: interpreta con sguardo impenetrabile e gesti minimi un uomo che non appartiene al suo tempo, né alle aspettative sociali, né alle convenzioni del giudizio. Il funerale della madre, la giornata al mare, l’omicidio senza ragione diventano atti meccanici, privi di pathos, ma proprio per questo carichi di significato.

Ozon insiste sul contrasto tra l’indifferenza del protagonista e il rumore della società che lo circonda: tribunali, folle, amici superficiali, tutto urla mentre Meursault rimane in silenzio. È qui che il film trova la sua forza, ma anche la sua debolezza: la freddezza radicale, il rifiuto di ogni empatia, possono lasciare lo spettatore spaesato, quasi respinto. Non c’è catarsi, non c’è speranza. Solo il vuoto, e l’eco di una giustizia che giudica non solo l’omicidio, ma l’incapacità di piangere, di conformarsi, di essere “come gli altri”.

La regia, rigorosa e geometrica, conferisce al film un’aura ipnotica, ma a tratti rischia di cadere in un formalismo che toglie respiro. Tuttavia, è proprio in questa scelta estrema che risiede il senso del lavoro: Ozon non cerca compromessi, ci consegna un Meursault scomodo, fedele allo spirito camusiano, un uomo che trova libertà solo accettando l’assurdità del mondo.

L’Étranger non è un film che invita alla commozione, ma alla riflessione. È un’opera che si fa specchio, costringendo lo spettatore a confrontarsi con la propria estraneità, con il vuoto che ciascuno porta dentro. Un film necessario, duro e imperfetto, che conferma Ozon come autore capace di affrontare i classici con uno sguardo personale, anche a costo di dividere.

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