“La Grazia” di Paolo Sorrentino: il dubbio come forma di verità

Sorrentino firma un’opera elegante e commossa, che ribadisce una verità semplice eppure urgente: il vero dramma non è l’azione, ma il dilemma morale che ci costringe a guardare dentro di noi

a cura della Redazione

È stato il film La Grazia ad aprire l’82ª Mostra del Cinema di Venezia, e già dalla prima proiezione si è capito che Paolo Sorrentino ha scelto di tornare a un cinema intimo, malinconico e profondamente morale. Al centro del racconto c’è Mariano De Santis, Presidente della Repubblica immaginario, vedovo, cattolico e giurista, giunto agli ultimi giorni del suo mandato. Un uomo che, dietro l’apparente rigore istituzionale, si rivela fragile, attraversato da dubbi e da una silenziosa nostalgia d’amore.

I dilemmi che deve affrontare – concedere o meno due richieste di grazia e firmare una legge sull’eutanasia – non sono solo questioni politiche, ma veri e propri nodi morali che lo costringono a misurarsi con la propria fede, con i ricordi della moglie scomparsa e con il rapporto complesso con la figlia Dorotea.

Il film si apre con un ritmo contemplativo, quasi ipnotico, per poi trasformarsi in un racconto che cresce progressivamente di intensità, fino a diventare un vero thriller dell’anima. Non c’è spazio per certezze granitiche o per la retorica del potere: la vera grandezza del protagonista sta nella sua capacità di dubitare, di accettare l’incertezza come unica forma autentica di responsabilità politica.

La regia alterna sobrietà e momenti visionari, creando un equilibrio tra l’austerità dei palazzi del potere e l’irruzione del surreale. Atmosfere sospese, immagini potenti e improvvisi squarci di ironia restituiscono la fragilità dell’uomo nascosta sotto la corazza istituzionale.

Ma La Grazia è anche un film sull’amore e sulla paternità. Mariano continua ad amare la moglie che non c’è più, cerca un punto di contatto con la figlia e, con intelligenza, capisce che a volte è necessario lasciarsi guidare dalle nuove generazioni, più capaci di interpretare il presente. È in questo equilibrio tra autorità e ascolto che il suo personaggio trova la sua nobiltà.

Toni Servillo regala un’interpretazione silenziosa e intensa, fatta di pause, sguardi e piccoli gesti, che rendono palpabile la solitudine del potere. Il suo Mariano De Santis non è un monumento, ma un uomo fragile e per questo straordinariamente vicino.

La Grazia diventa così un film sul peso delle scelte, sull’etica come fondamento invisibile della vita collettiva e sul valore del dubbio come gesto politico. Sorrentino firma un’opera elegante e commossa, che ribadisce una verità semplice eppure urgente: il vero dramma non è l’azione, ma il dilemma morale che ci costringe a guardare dentro di noi.

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