À pied d’œuvre: poesia francese e precarietà in concorso a Venezia

Girato con la fotografia raffinata di Irina Lubtchansky e accompagnato dalle musiche di Jean-Michel Bernard, il film è una sorta di diario intimo che riflette su cosa significhi creare oggi, quando il successo non è più garanzia di stabilità, ma solo un fragile bagliore in un panorama instabile

a cura della Redazione

Alla 82ª Mostra del Cinema di Venezia, tra i titoli glamour e le star hollywoodiane, arriva anche un film capace di toccare corde intime e universali. Si tratta di À pied d’œuvre (At Work), nuovo lavoro di Valérie Donzelli, che ha scelto di raccontare la fragilità del vivere contemporaneo con lo sguardo delicato e minimalista che da sempre contraddistingue il suo cinema.

Il protagonista, interpretato con grande sensibilità da Bastien Bouillon, è Paul, un fotografo freelance che decide di abbandonare una vita apparentemente stabile per inseguire la scrittura. La sua scelta lo porta però in una spirale di precarietà e micro-lavori digitali, in cui la passione per l’arte si intreccia con la fatica quotidiana di restare a galla. Accanto a lui, Virginie Ledoyen offre una presenza luminosa e misurata, completando il quadro di un racconto che parla tanto di resilienza quanto di fragilità.

Girato con la fotografia raffinata di Irina Lubtchansky e accompagnato dalle musiche di Jean-Michel Bernard, il film è una sorta di diario intimo che riflette su cosa significhi creare oggi, quando il successo non è più garanzia di stabilità, ma solo un fragile bagliore in un panorama instabile.

Sul fronte critico, À pied d’œuvre ha diviso gli sguardi a Venezia. C’è chi lo ha letto come un gioiello di eleganza narrativa, un film che restituisce dignità al silenzio e all’attesa, e chi invece ha sottolineato il rischio di un racconto troppo sommesso, che fatica a mantenere la tensione drammatica sul lungo periodo. Eppure, proprio in questa sobrietà sta la sua forza: Donzelli sceglie la via della delicatezza, rinunciando a colpi di scena per consegnare allo spettatore un flusso di emozioni sottili, fatte di sguardi e di pause.

Non è un film che travolge, ma un film che resta addosso. Come una fragranza francese dal bouquet discreto ma persistente, capace di emergere a distanza di tempo. In un Festival dominato da opere potenti e spettacolari, À pied d’œuvre si ritaglia uno spazio diverso: quello della poesia quotidiana, che parla di noi, delle nostre incertezze e dei nostri sogni sospesi.

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