Un racconto che mette in discussione ciò che pensiamo di sapere sul confine tra realtà e incubo. Con uno stile che non fa sconti, Marco De Franchi accompagna il lettore dentro un viaggio fatto di paure collettive, silenzi che pesano e domande a cui è difficile sfuggire.
Un autore che conosce il buio
Marco De Franchi non è uno scrittore qualunque: è qualcuno che porta addosso le ombre di un passato reale, fatto di indagini, sospetti e segreti. Da ex dirigente dello SCO, ha vissuto in prima persona quella tensione che non finisce con la sirena di un’auto della polizia. Nel suo romanzo Il silenzio delle rondini non troverai solo la costruzione perfetta di un giallo, ma il battito accelerato di chi sa cosa vuol dire guardare il male negli occhi. Leggendolo ti senti spettatore e allo stesso tempo parte dell’indagine, come se ogni pagina ti chiedesse: “E tu, avresti retto?”. È questo il segreto che rende la sua scrittura così magnetica: realismo e immaginazione si fondono fino a farti credere che stai vivendo davvero quello che racconta.
Ragazzi assassini: l’incubo ha un volto giovane
La trama parte da una premessa che è già un pugno nello stomaco: ragazzi giovanissimi, in alcuni casi quasi bambini, che diventano assassini. E non di sconosciuti, ma dei propri genitori. È un pensiero che fa tremare, perché colpisce nel luogo che dovrebbe essere più sicuro: la famiglia. Le prime spiegazioni che emergono fanno quasi sorridere per la loro banalità: colpa dei videogiochi, di TikTok, delle challenge virali. Ma tu che leggi capisci subito che non può essere così semplice. Ed è proprio qui che De Franchi spinge la lama più a fondo: ti mette davanti al dubbio che dietro a questi gesti ci sia un meccanismo più oscuro, collettivo, che nessuno vuole vedere. La paura cresce, perché improvvisamente smetti di pensare al romanzo come a una storia inventata e inizi a chiederti se qualcosa di simile potrebbe accadere davvero, magari proprio accanto a te.
Valentina Medici controcorrente
In mezzo a questo vortice di paure e misteri, si muove Valentina Medici, una commissaria che non ha paura di andare controcorrente. Giovane, intuitiva, testarda: non si accontenta mai delle spiegazioni che piacciono ai giornali o tranquillizzano l’opinione pubblica. Vuole scavare, anche quando scavare significa rimanere sola e rischiare di sbagliare. Accanto a lei torna Fabio Costa, poliziotto disilluso, con le sue ombre e i suoi tormenti. Non sono la coppia da copertina, non vincono medaglie al valore: sono persone imperfette, che inciampano, che dubitano, che si reggono a vicenda come possono. E proprio per questo li senti veri, vivi, credibili. Leggendo di loro ti ritrovi a fare il tifo, non solo per la soluzione del caso, ma perché restino in piedi, perché non vengano schiacciati da un’indagine che sembra più grande di chiunque.
Il sogno che non smette di parlare
E poi c’è lui, il sogno che si ripete come un incubo collettivo: gabbiani che si scagliano contro uno stormo di rondini indifese, incapaci di volare via. Tutti i giovani assassini lo raccontano, con parole diverse ma con la stessa, inquietante immagine negli occhi. È solo un’allucinazione? Una coincidenza? O il segno che qualcuno, da qualche parte, sta muovendo i fili? Più vai avanti, più questo sogno ti resta addosso: inizi a immaginarlo anche tu, a sentirne il silenzio assordante. E a quel punto capisci che Il silenzio delle rondini non è solo un thriller, ma una riflessione sul potere dei simboli, sugli incubi che ci accomunano e sulla fragilità che spesso scegliamo di ignorare. È un romanzo che ti sfida: ti chiede di non restare spettatore, ma di sporcarti le mani, di guardare dentro i tuoi silenzi, perché forse non sono poi così diversi da quelli che popolano la mente dei protagonisti.
