White Entropy: la montagna come specchio dell’umano

La mostra site-specific di Jacopo Di Cera, a cura di Massimo Ciampa, trasforma l’area espositiva dell’aeroporto di Milano Malpensa in un invito alla riflessione sul paesaggio, la sostenibilità e la dissoluzione dei ghiacci

di Serena Giani

Il cuore dell’aeroporto di Milano Malpensa, uno spazio solitamente associato alla fretta, diventa luogo di sosta riflessiva. White Entropy, la nuova mostra di Jacopo Di Cera curata da Massimo Ciampa, apre il 4 dicembre 2025 nel PhotoSquare del Terminal 1 e resterà visibile fino al 31 marzo 2026. 

Inserita nel programma dell’Olimpiade Culturale Milano Cortina 2026, l’iniziativa punta a trasformare il paesaggio in coscienza e l’altitudine in pensiero, offrendo a passeggeri e visitatori un’esperienza inaspettata dentro il quotidiano del viaggio.

Il bianco e l’entropia: un dialogo tra purezza e perdita

Il progetto ruota attorno a due forze complementari: il bianco, inteso come simbolo della purezza immobile della montagna, e l’entropia, che introduce l’idea di trasformazione, erosione, disordine. Nelle immagini zenitali di Jacopo Di Cera, gli opposti convivono: il paesaggio alpino appare insieme intatto e vulnerabile, materico e consumato, segnato dalle tracce dell’uomo che la neve conserva e amplifica. La montagna non è più solo grandezza naturale, ma superficie sensibile che registra la nostra presenza, rivelando il delicato equilibrio tra contemplazione e responsabilità.

Un’installazione che rende visibile il peso del nostro passaggio

Il cuore della mostra è un’installazione site-specific che riproduce a pavimento le fotografie del letto di un ghiacciaio. I visitatori camminano su queste immagini, consumandole. Ogni passo altera la superficie, così come ogni azione umana — anche minima, anche inconsapevole — lascia un’impronta sulla montagna reale. 

In un luogo come l’aeroporto, dove il passo è spesso frettoloso e automatico, l’artista introduce un gesto che costringe a pensare: la superficie bianca che si rovina sotto i piedi diventa metafora immediata della fragilità dei ghiacciai del Monte Bianco e, più in generale, delle conseguenze del nostro passaggio.

Uno sguardo dall’alto che ribalta la percezione

La scelta dello sguardo zenitale è centrale: osservare la montagna dall’alto significa ribaltare la tradizionale narrativa della conquista e dell’ascesa. Qui non è l’uomo a guardare la vetta, ma è la montagna a osservare l’uomo dall’alto, come un corpo vivo che registra, conserva e, con il tempo, lascia dissolvere. Le immagini di Di Cera restituiscono paesaggi riconoscibili ma trasfigurati, in cui linee, impronte e pattern raccontano la tensione continua tra la permanenza della natura e la precarietà dell’azione umana.

L’artista e il suo percorso tra fotografia, territorio e responsabilità

Jacopo Di Cera, attivo da anni tra fotografia documentaria, linguaggi materici e sperimentazione digitale, torna con White Entropy su uno dei temi centrali della sua ricerca: il rapporto tra uomo e paesaggio come relazione non neutrale. 

Dalla vittoria al National Geographic nel 2010 ai progetti dedicati alle migrazioni, ai terremoti e ai mutamenti climatici, l’artista ha costruito un linguaggio che unisce impatto visivo e impegno civile. Questa mostra ne rappresenta un’estensione, concentrata sulla montagna come soglia fragile tra ciò che è stato e ciò che rischiamo di perdere.

Un invito a fermarsi, guardare e ricordare

In un luogo nato per il movimento, White Entropy chiede un gesto semplice ma controcorrente. Fermarsi.

Le immagini e l’installazione non forniscono risposte, ma generano una domanda insistente: quale segno lasciamo? La montagna, osservata e calpestata, diventa un dispositivo di memoria collettiva e un monito sul tempo che abitiamo. Un’occasione, breve ma incisiva, per trasformare il passaggio in consapevolezza.

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