Giulia Mazzoni è una delle compositrici e pianiste più originali della nuova scena musicale italiana. Capace di fondere tradizione classica, sensibilità contemporanea e sperimentazione tecnologica, ha costruito un linguaggio personale fatto di emozione, ricerca e impegno civile. La sua musica è narrativa, visionaria, profondamente umana. Con “404: Woman Not Found”, un brano e un videoclip creati intrecciando pianoforte e intelligenza artificiale, Mazzoni affronta uno dei temi più urgenti del nostro tempo: la violenza digitale contro le donne.
Il suo nuovo brano “404: Woman not Found” affronta un tema delicatissimo come la violenza digitale contro le donne. Da cosa è nato questo progetto e come hai trasformato un fenomeno così invisibile e intangibile in una composizione musicale così intensa?
“404: Woman Not Found” nasce da esperienze dirette, dal bullismo che ho vissuto da bambina e dalla violenza digitale che mi ha colpita quando ero appena maggiorenne. Commenti misogini e minacce non sono semplice dissenso: sono aggressioni che lasciano ferite profonde, anche se avvengono dietro uno schermo. Per questo ho sentito il bisogno di dare voce a un dolore spesso invisibile, trasformandolo in musica e in immagini.
Il brano racconta non solo le parole che feriscono, ma anche ciò che oggi accade nel digitale: avatar creati senza consenso, revenge porn, manipolazioni. Anche il videoclip, che ho scritto e diretto usando consapevolmente l’AI, nasce da questa urgenza: mostrare che la libertà sta nel consenso, non nell’appropriazione indebita dell’identità. La musica, per me, è diventata un luogo sicuro e di consapevolezza, un abbraccio per chi vive lo stesso tipo di violenza.
Dal tuo primo incontro con il pianoforte ai grandi palchi internazionali, nel suo percorso l’innovazione — tecnologica ed espressiva — è sempre stata una costante. In che modo oggi senti che la sperimentazione e la ricerca sonora definiscono la sua identità artistica?
La mia identità nasce dall’equilibrio tra radici e innovazione. Il pianoforte è uno strumento antico, ma per me rimane un laboratorio vivo: ogni giorno può trasformarsi se lo si osserva con occhi nuovi. Mi nutro delle arti contemporanee — design, moda, visivo, digitale — perché il mondo oggi parla con linguaggi intrecciati, e un compositore deve saperli ascoltare.
La sperimentazione non è mai fine a se stessa: è il modo in cui traduco il presente dentro la costante che mi accompagna da sempre, il pianoforte. È da questo dialogo che nasce la Nuova Classica, un linguaggio che porta la tradizione nell’oggi. L’interpretazione dal vivo, poi, completa il percorso: ogni esecuzione ridà corpo alla musica, la rende un organismo emotivo, presente, irripetibile.
Dal tuo punto di vista, che cosa rende un concerto o un progetto musicale un autentico “lusso esperienziale”? E quali elementi — scenografia, produzione, interazione — contribuiscono a creare questo tipo di magia?
Il vero lusso è l’intensità dell’esecuzione: quel momento in cui il suono diventa emozione fisica e condivisa. Nel mio caso, l’interpretazione è una parte essenziale della composizione: ogni gesto, ogni respiro contribuisce alla narrazione.
I miei concerti sono costruiti come un viaggio: la musica crea storie e il pubblico le attraversa. A questo si aggiunge una dimensione visiva curata — luci, video, scenografie — che amplifica l’immersione senza mai sovrastare il pianoforte. Ma ciò che fa davvero la differenza è il rapporto con il pubblico: mi piace parlare, introdurre, creare vicinanza. È un concerto classico, ma vissuto con un approccio contemporaneo, quasi pop, per renderlo accessibile, emotivo e immersivo.
Ami definire il pianoforte “uno strumento senza barriere”, capace di parlare a pubblici molto diversi. Guardando al futuro, quali contesti o collaborazioni — magari con il mondo della moda, del design o del lifestyle — vedi come più promettenti per avvicinare ancora di più la musica strumentale al pubblico contemporaneo?
Il pianoforte parla a tutti: ciò che serve è creare contesti dove le persone possano avvicinarsi senza timore. La musica classica porta ancora un’aura di rigidità che non le appartiene, e per questo cerco di portarla in luoghi dove arte e pubblico già dialogano: musei, moda, design, eventi culturali.
Mi piacerebbe comporre per una sfilata o per una campagna importante: il ritmo, il movimento, l’immagine sono linguaggi naturali per le nuove generazioni. Allo stesso tempo voglio rendere i concerti sempre più aperti e meno ingessati, quasi interattivi, perché il teatro deve essere percepito come un luogo vivo e non distante.
Avvicinare il pubblico significa portarli nel nostro mondo e, allo stesso tempo, entrare nei loro: solo così la musica classica potrà continuare a essere contemporanea.
