Schiaparelli Couture AI 2025/26: il tempo si ferma tra passato e futuro – Gilt Magazine

Schiaparelli Couture AI 2025/26: il tempo si ferma tra passato e futuro

Lontano dal corsetto che negli anni è diventato firma della Maison, il direttore creativo opta per silhouette asciutte, tagliati in sbieco e una palette ridotta all’osso: bianco, nero e rossi profondi

a cura della Redazione

Alla Paris Haute Couture Week, Daniel Roseberry riscrive i codici della moda d’atelier, intrecciando la memoria storica della maison Schiaparelli con una visione radicalmente futurista.

C’è un preciso momento in cui la moda smette di essere solo vestito e diventa narrazione, sogno, visione. È in questo spazio rarefatto che si colloca la nuova collezione haute couture autunno-inverno 2025/26 di Schiaparelli, firmata da Daniel Roseberry, presentata il primo giorno della Paris Haute Couture Week.

Con il titolo Back to the Future, Roseberry firma una sfilata che è insieme elegia del passato e prefigurazione del futuro: un esercizio di sottrazione, di essenzialità cromatica, di tensione formale che disarma e incanta.

Lontano dal corsetto che negli anni è diventato firma della Maison, il direttore creativo opta per silhouette asciutte, tagliati in sbieco e una palette ridotta all’osso: bianco, nero e rossi profondi. L’effetto è quello di un’eleganza senza tempo, scolpita nel silenzio tra due epoche. “Mi sono chiesto: se eliminassi ogni segno del presente, potrei creare qualcosa che sembra provenire dal domani?”, ha raccontato Roseberry.

La collezione prende le mosse da un episodio storico reale: l’esilio volontario di Elsa Schiaparelli a New York nel giugno del 1940, per sfuggire all’occupazione nazista. Su quella frattura storica si innesta il concept creativo, che riprende codici anni ’40 – linee dritte, vita segnata, proporzioni studiate – ma li spinge oltre, in un dialogo con il surrealismo e l’artigianalità contemporanea.

Tra i dettagli più emblematici: il buco della serratura – icona schiaparelliana – questa volta realizzato in ceramica artigianale, cucito nel tessuto come fosse un segreto da decifrare. Le giacche voluminose dei tailleur, intessute con fili d’argento, convivono con abiti che brillano di luce propria, come il lungo modello iridescente indossato da Maggie Maurer o la silhouette a collo alto sfoggiata da Mona Tougaard.

In questo teatro immobile di citazioni e intuizioni, fa la sua comparsa anche la giacca Elsa, tributo esplicito alla fondatrice della maison. Il risultato è una collezione intensa e misurata, dove nulla è accessorio e ogni elemento partecipa di un’estetica alta, quasi sacra. “La couture deve restare un gesto profondamente umano. È come entrare in una chiesa: ci si aspetta di provare emozione”, ha dichiarato lo stilista.

E proprio l’emozione è la chiave di lettura di questo lavoro, che nasce da un esercizio di rigore ma sfocia in una dimensione quasi spirituale. Non c’è nostalgia né retromania: il passato, nelle mani di Roseberry, è un linguaggio, non una prigione. Il futuro, invece, è una possibilità concreta, da costruire pezzo per pezzo con ago, filo e visione.

Nell’epoca dell’intelligenza artificiale, Roseberry sceglie invece la lentezza, la manualità, l’intimità del gesto sartoriale. E consegna alla couture un ruolo che è quasi politico: creare sospensione, rallentare il tempo, ridare significato al presente.

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