Adam Driver: storie di fragilità e malinconia

Dopo aver attraversato blockbuster, saghe iconiche e collaborazioni con alcuni dei più grandi registi viventi, oggi sembra scegliere storie che parlano di relazioni, fratture interiori e identità in crisi

di Maria Giulia Gatti

                                                                        

Al cinema con “Father Mother Sister Brother”

Adam Driver continua a essere uno degli attori più sorprendenti del cinema contemporaneo, capace di passare dal grande autore al progetto più intimo senza mai perdere identità. I suoi lavori più recenti e quelli in arrivo confermano una traiettoria precisa: personaggi estremi, racconti sul conflitto umano e una costante ricerca di profondità emotiva. 

Il progetto più atteso è “Father Mother Sister Brother,” film che riporta Driver a collaborare con Jim Jarmusch. La struttura, già suggerita dal titolo, è quella di un racconto diviso in capitoli, ognuno incentrato su una diversa relazione familiare. Qui interpreta un fratello in visita all’eccentrico padre insieme alla sorella. 

In questo contesto, Driver si muove in un cinema fatto di silenzi, sguardi e dialoghi essenziali, perfettamente in linea con l’universo di Jarmusch. È un ritorno a un cinema d’autore puro, che privilegia l’atmosfera e l’introspezione più che l’azione, e che sembra cucito su misura per la sua fisicità trattenuta e la sua intensità.      

I prossimi progetti

Di tutt’altra natura è “Paper Tiger”, thriller psicologico che lo vede protagonista, insieme a Scarlett Johansson e Miles Teller, di una storia cupa e tesa, in cui il potere, la manipolazione e l’identità sono al centro del racconto; due fratelli inseguono il sogno americano, ma rimangono invischiati in un pericoloso piano della mafia russa che terrorizza la loro famiglia, mettendo a dura prova il loro legame, dato che il tradimento è dietro l’angolo. Un film che si inserisce nella sua galleria di personaggi inquieti e tormentati, confermando il suo talento nel rendere credibili figure difficili da decifrare.

Con “Misty Green” di Chris Rock, Driver si sposta ancora una volta, affrontando un racconto più intimo e malinconico. Il film esplora la vita di un’attrice, che cerca di ricostruire la sua giovane carriera dopo aver riallacciato i rapporti con una persona del suo passato.

A completare questo periodo particolarmente denso arriva “Alone at Dawn”, titolo che già suggerisce un’atmosfera di riflessione. Sotto la direzione di Ron Howard, il film vede nel cast anche Anne Hathaway e si basa sulla storia vera del controllore di combattimento dell’aeronautica militare statunitense John A. Chapman, un eroe che sacrificò la sua vita in Afghanistan per salvare 23 commilitoni, guadagnandosi la Medal of Honor postuma. Il film è l’adattamento del libro di Dan Schilling e Lori Longfritz, che racconta le eroiche azioni di Chapman durante l’Operazione Anaconda.

Nel loro insieme, quindi, questi progetti mostrano un Adam Driver sempre più distante dall’idea di star tradizionale e sempre più vicino a quella di interprete totale. Dopo aver attraversato blockbuster, saghe iconiche e collaborazioni con alcuni dei più grandi registi viventi, oggi sembra scegliere storie che parlano di relazioni, fratture interiori e identità in crisi. Un percorso coerente, rischioso e profondamente personale, che continua a renderlo una delle figure più interessanti del cinema contemporaneo.

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