Un piano ambizioso, un ultimatum stringente e l’eco di una possibile svolta storica. A Washington, Donald Trump e il premier israeliano Benjamin Netanyahu hanno annunciato una proposta di pace in 20 punti per fermare la guerra a Gaza. Una mappa diplomatica che promette il cessate il fuoco immediato, il rilascio degli ostaggi e la ricostruzione della Striscia sotto un’amministrazione transitoria. Una mossa che riporta Trump al centro della scena internazionale e accende i riflettori sul futuro del Medio Oriente.
Un piano che cambia i toni
Il documento presentato dalla Casa Bianca prevede innanzitutto un cessate il fuoco immediato, da attivare entro 72 ore con il rilascio degli ostaggi. Seguono lo smantellamento delle infrastrutture militari di Hamas, il ritiro graduale dell’esercito israeliano e la creazione di un comitato tecnico palestinese con supervisione internazionale per gestire la ricostruzione. A differenza della prima proposta di Trump a febbraio, che ipotizzava il controllo diretto di Gaza da parte degli Stati Uniti, il piano di settembre sottolinea che nessuno sarà obbligato a lasciare la Striscia: l’obiettivo è incentivare la popolazione a restare e a contribuire alla rinascita.
L’ultimatum di Trump
Con il suo stile diretto, Trump ha fissato i tempi: “Tre o quattro giorni per accettare il piano, altrimenti Hamas avrà una fine triste”. Parole dure, rilanciate da Netanyahu che ha ribadito la disponibilità di Israele a “finire il lavoro” se la proposta venisse respinta. L’ultimatum, oltre a esercitare pressione diplomatica, segna il ritorno di Trump come leader assertivo sulla scena mondiale, capace di combinare diplomazia e minaccia, offrendo una via d’uscita ma imponendo al contempo condizioni rigide.
Le reazioni internazionali
La comunità internazionale si è mossa rapidamente: Italia, Stati Uniti e diversi Paesi europei hanno accolto positivamente la proposta, definendola un “punto di svolta” e offrendosi di partecipare alla ricostruzione. Molti Stati arabi guardano con interesse, anche se alcuni punti restano controversi, soprattutto sulla sovranità palestinese e sulla presenza di Hamas. Da parte sua, Hamas ha dichiarato di essere “in fase di valutazione” del piano, senza però sbilanciarsi. I mediatori fanno sapere che ci sono segnali di apertura, ma la strada verso un sì non è priva di ostacoli.
Tra speranza e incertezze
Il piano Trump-Netanyahu è un passo coraggioso, ma fragile: resta incerta l’attuazione pratica di un cessate il fuoco in un territorio devastato, così come la reale disponibilità di Hamas ad accettare condizioni che prevedono lo smantellamento del suo potere militare. Tuttavia, il solo fatto che la proposta abbia raccolto appoggi trasversali e abbia messo la parola “pace” di nuovo al centro del dibattito rappresenta un segnale. Per Gaza potrebbe essere l’inizio di una nuova fase, tra diplomazia e ricostruzione, ma la partita si gioca nei prossimi giorni.
