Norimberga: il processo nella mente firmato Vanderbilt

Russell Crowe in una sfida morale senza assoluzioni e una Hollywood che guarda al passato per parlare al presente

di Lucie Giselle

Standing ovation di quattro minuti alla prima mondiale al Toronto International Film Festival e un’attesa che cresce anche in Italia: Norimberga, il nuovo film di James Vanderbilt, arriva nelle sale il 18 dicembre 2025 con Eagle Pictures.

Dimenticate però l’epica roboante dei grandi kolossal, qui il cinema sceglie una strada più sottile che scava, osserva e mette lo spettatore sotto processo: Norimberga, infatti, è un film che parla di responsabilità, di scelte irreversibili e di memoria. Un’opera che guarda al passato per colpire dritto il presente catapultandoci dentro il laboratorio umano delle azioni e dei pensieri, il tutto durante un vis-à-vis tra Russell Crowe e Rami Malek.

Una trama che resta impressa

Non è certo il classico film di guerra quello che ci si può aspettare se la regia è nelle mani di Vanderbilt. Norimberga prende forma durante i processi ai gerarchi nazisti post Seconda Guerra Mondiale e lo fa da una prospettiva insolita e sorprendentemente mentale: l’azione si consuma quasi tutta in un’aula, tra sguardi che pesano più delle parole, discorsi misurati e silenzi carichi di tensione.

Al centro della storia c’è il tenente colonnello Douglas Kelley (Rami Malek), psichiatra dell’esercito americano incaricato di valutare la sanità mentale di Hermann Göring (Russell Crowe) e degli altri imputati in attesa di giudizio. È proprio da questo confronto che nasce il vero motore del film: niente esplosioni o scene d’azione, ma una tensione interiore quasi claustrofobica che cresce scena dopo scena.

Norimberga provoca e ci mette di fronte a una domanda scomoda: cosa significa davvero chiamare qualcuno “responsabile”? Quante forme può assumere il male e come giudicare gli errori?

Regia, sceneggiatura & tensione scenica: Vanderbilt indaga la mente

L’atmosfera appare fin da subito densa, cupa, carica di una tensione costante: ogni dialogo è una lama, ogni silenzio pesa come una sentenza e la fotografia scura sottolinea ogni espressione dei personaggi. Il risultato? Pura tensione sotto pelle.

James Vanderbilt, – noto per il suo approccio al thriller psicologico, sceneggiatore di Zodiac e Scream – lascia nuovamente la sua firma dirigendo il film con precisione chirurgica. Evita consapevolmente l’enfasi spettacolare per concentrarsi su ciò che conta davvero: il confronto tra la razionalità della legge e l’abisso ideologico del nazismo.

Il faccia a faccia tra Crowe e Malek, ispirato al libro The Nazi and the Psychiatrist di Jack El-Hai, è dunque il cuore pulsante del film. Non siamo davanti a un’operazione didascalica, ma a un cinema che riflette su giustizia, memoria e responsabilità collettiva, senza mai offrire risposte facili.

Cast in primo piano: Grandi attori, grandi responsabilità

Ci sono nomi da Oscar, e le loro interpretazioni ci regalano emozioni in un viaggio sottile e carico di tensione.

Il vero baricentro emotivo di Norimberga è certamente Russell Crowe, protagonista di un’interpretazione intensa e tagliente. Il suo Hermann Göring è una delle prove più potenti e discusse della carriera recente dell’attore: magnetico, lucido, inquietante, l’attore non propone sul grande schermo una caricatura del male, ma un uomo capace di sedurre, manipolare e destabilizzare chi gli sta di fronte. Crowe riempie la scena con una presenza dominante e controllata regalandoci un personaggio responsabile di crimini indicibili dal  fascino pericoloso.

Più divisiva la critica per la prova di Rami Malek nei panni di Douglas Kelley. L’attore premio Oscar opta per una recitazione nervosa e introspettiva che, se per alcuni restituisce con efficacia il peso morale dello scontro con il male, per altri risulta eccessiva rispetto al rigore del film. In ogni caso, è indubbio che Malek conferma nuovamente la sua versatilità, costruendo un personaggio complesso e tridimensionale.

Ottimo anche il cast di supporto, che rafforza l’impianto corale del film – spicca subito il nome di Michael Shannon (impeccabile nei panni del procuratore Robert H. Jackson) figura chiave nel dare al processo autorevolezza e gravità istituzionale.

Un film che non assolve: perché Norimberga va visto?

Norimberga ha diviso la critica, ma difficilmente lascia indifferenti. Più che un film storico, è una sfida dello spettatore: una battaglia che si combatte nella mente, nella legge e nella coscienza, un invito a guardarsi dentro.
Non è il tipo di film che cerca scorciatoie morali o di definire “buoni” e “cattivi”, ma è quello che cerca di scavare nella storia e comprendere la complessità dell’essere umano, anche quando fa paura, scuotendo e stimolando la riflessione.

Perché va visto? Perché Norimberga è un promemoria potente di come la Storia non è “semplice passato”, ma un patrimonio che riguarda tutti noi, ogni giorno, anche a distanza di ottant’anni.

Lascia un commento

Your email address will not be published.