Ingrid Carbone: la musica dei numeri, la poesia dell’incontro

Ingrid Carbone è tornata ad Amman per masterclass e un concerto che ha unito musica italiana e dialogo culturale. Pianista e matematica, fonde analisi ed emozione nella sua arte.

di Jo D'Ambrosio

Nel cuore di Amman, tra le luci dorate che scivolano sui colli e il respiro antico del deserto, il pianoforte di Ingrid Carbone ha raccontato l’Italia. Non solo quella della musica, ma quella del pensiero, del dialogo e dell’armonia nascosta tra le forme dell’arte e le leggi della natura.

Invitata dall’Ambasciata d’Italia in Giordania e dal National Conservatory of Music, la pianista, matematica e divulgatrice calabrese è stata protagonista, dal 6 al 9 ottobre, di una tre giorni di masterclass e di un concerto speciale, “Italian Composers”, al King Hussein Cultural Center: un viaggio sonoro tra le pagine più luminose della tradizione italiana, da Domenico Scarlatti ai compositori del Novecento, vissuto come un ponte culturale tra Mediterraneo e Medio Oriente.

“Ritornare in Giordania rappresenta per me un grande onore”, racconta Carbone. “Questo secondo invito da parte dell’Ambasciata, insieme alla calorosa accoglienza del Conservatorio, rende l’esperienza ancora più significativa. Esibirsi in Medio Oriente è sempre un’emozione profonda: è una terra che amo e a cui sento di essere profondamente legata.”

Le sue parole svelano la cifra più autentica del suo percorso: quella connessione invisibile tra matematica e musica, tra razionalità e sentimento, che fa della sua arte un’esperienza intellettuale e insieme emotiva.

Perché Ingrid Carbone non è solo una pianista pluripremiata, con incisioni acclamate a livello internazionale e riconoscimenti come le due nomination agli International Classical Music Awards (ICMA) e gli otto Global Music Awards. È anche una docente di Analisi Matematica all’Università della Calabria, ricercatrice e divulgatrice, capace di far dialogare il linguaggio dei numeri con quello delle emozioni.

Il suo progetto più originale, le “conversazioni-concerto”, nasce proprio da questa doppia anima: spettacoli che fondono musica, narrazione e scienza, guidando il pubblico in un ascolto consapevole e condiviso. Un metodo che ha già conquistato platee in Europa, in Canada, in Messico, in Asia e nel Medio Oriente.

Ad Amman, il pubblico delle sue masterclass ha scoperto non solo una docente appassionata, ma una vera artigiana dell’ascolto, capace di illuminare le strutture della musica italiana con la precisione di un teorema e la tenerezza di un gesto poetico.

L’esperienza si è conclusa con un concerto che ha trasformato la scena in un luogo di dialogo tra culture, dove il pianoforte di Carbone, limpido, intenso, essenziale, ha fatto vibrare la voce universale dell’arte.

L’evento, organizzato in collaborazione con la King Hussein Foundation, si inserisce in un più ampio progetto di promozione della cultura musicale italiana in Medio Oriente, volto a rafforzare il dialogo interculturale e a valorizzare i giovani talenti locali.

E mentre la sua musica continua a risuonare, Ingrid Carbone si prepara a nuovi incontri: il 10 novembre a Cagliari, per una nuova conversazione-concerto all’interno del FestivalScienza, dove tornerà a intrecciare “Musica e Matematica” sotto il segno del tema “Tramas”; e il 22 ottobre a Catanzaro, ospite della FIDAPA, con un evento dedicato al legame tra scienza, arte e sensibilità femminile.

Dalla Calabria al mondo, Ingrid Carbone percorre le geografie della conoscenza con passo leggero e mente lucida. Nelle sue mani, il pianoforte diventa non solo strumento musicale, ma luogo di incontro tra logica e meraviglia, tra ciò che si misura e ciò che si sente.

E ogni nota sembra dire che, dopotutto, anche la bellezza ha una sua formula segreta basta saperla ascoltare.

Ingrid, sei appena rientrata da Amman, una terra che ami molto. Cosa hai portato con te da questa esperienza, e cosa hai lasciato, con la tua musica, al pubblico giordano?

La Giordania per me è stato un ritorno, la seconda volta. Ogni volta che viaggio, e mi è accaduto in Palestina, in Cina, ovunque, torno arricchita culturalmente, umanamente e personalmente. Io non ho il concetto di pregiudizio nel mio vocabolario, ma andare in luoghi così diversi dal nostro modo di vivere e pensare significa scoprire quanto le nostre idee iniziali, quando non sono fondate sui fatti, si dissolvano.

E poi c’è la musica, che è un linguaggio universale: non ha barriere culturali, religiose, politiche. Mi permette di avvicinarmi agli altri e di farmi percepire vicina.

Credo di aver lasciato due cose: sul piano musicale e pedagogico, alcuni suggerimenti, nuove prospettive per avvicinarsi alla musica occidentale; sul piano emotivo, ciò che per me è essenziale: le mie emozioni. Io suono per condividere il mio mondo interiore, non per mostrare bravura. Cerco sempre di trasportare chi mi ascolta nel mio racconto, nel mio “sentire”. E in Giordania questo è stato accolto con un rispetto e un calore profondi, anche perché vado come donna, e ho sempre avvertito una considerazione straordinaria.

Quello che porto a casa, invece, è la loro accoglienza, la loro curiosità e la ricchezza umana che ogni viaggio mi dona.

La tua vita unisce due mondi che sembrano lontani: la matematica e la musica. Come riescono, dentro di te, a parlarsi?

In realtà convivono in me in modo naturale, quasi automatico: sono le due facce della mia stessa medaglia.

Mi rendo conto, ora che mi osservo più consapevolmente, che il mio approccio alla musica è profondamente analitico, direi quasi scientifico. Quando guardo uno spartito, lo vedo con una mente matematica: lo scompongo, lo studio, lo analizzo. Ma questo non toglie nulla all’emozione, che per me è sempre primaria.

L’Aibniz diceva che i musicisti fanno matematica senza saperlo, ed è vero: noi contiamo senza accorgercene, perché l’abbiamo imparato da bambini. La musica richiede addizioni, divisioni, multipli… e tutto questo diventa automatico.

La musica è il mio lato emotivo, spontaneo, persino infantile; la matematica è ciò che mi aiuta a gestire questa emotività, a darle una direzione. Non la controlla, l’emozione non la controlli, ma la guida, la veicola.

E così questi due mondi, apparentemente lontani, in me convivono e si completano.

Le tue “conversazioni-concerto” sono un viaggio unico tra parole e musica. Come è nata questa idea, e che cosa provi quando senti che il pubblico si lascia guidare e si emoziona con te?

L’idea è nata in Cina, nel 2019. Ero lì per tenere delle lectures a docenti e studenti di pianoforte, e mi chiesero qualcosa di molto particolare: non solo teoria, ma una spiegazione profonda dei brani, con esempi al pianoforte, con spartiti proiettati su maxi schermi.

Lì ho capito quanto fosse efficace unire racconto, analisi e musica, perché quel pubblico aveva un grande gap culturale nell’ascolto della musica classica e assorbiva tutto come una spugna.

Tornata in Italia, mi sono detta: “Perché non farlo anche qui?”. Ma non volevo la formula accademica della lezione-concerto. Io volevo creare un dialogo, una vicinanza. Così sono nate le Conversazioni-Concerto: io che suono e, mentre suono, racconto me stessa, il mio percorso, il mio modo di vedere e vivere quel brano.

La soddisfazione più grande? Guardare negli occhi il pubblico e vedere che si lascia prendere, che si emoziona. Quando qualcuno mi dice: “È la prima volta che ascolto un concerto di classica, e mi si è aperto un mondo”, allora penso che tutto ha senso. Non esiste gratificazione più profonda di quella.

Nel concerto “Italian Composers” hai suonato pagine di grandi autori italiani. C’è un brano o un momento di quella serata che ti è rimasto nel cuore?

Sì, ci sono stati più momenti, ma uno in particolare mi ha toccata moltissimo.

Il concerto iniziava con tre Sonate di Domenico Scarlatti, che formano un piccolo ciclo. Io mi aspettavo l’applauso solo alla fine della terza, come vuole la tradizione, e invece il pubblico ha applaudito alla fine di ciascuna sonata, una per una.

Quella spontaneità, quel bisogno immediato di restituirmi qualcosa, quel sentire che erano completamente dentro ciò che suonavo, mi ha davvero emozionata.

Gli applausi sembravano non finire mai: è stato un momento assolutamente speciale.

Se dovessi descrivere te stessa con una sola parola o immagine, qualcosa che unisca scienza e arte, quale sceglieresti?

Direi: “Armonia” una bambina che conta e sogna. Unisce la mia parte analitica e quella emotiva

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