Con L’isola di Andrea, Antonio Capuano ci conduce in un territorio fragile e universale: quello delle famiglie spezzate, viste dal punto di vista di un bambino che assiste impotente al crollo dell’unità domestica. Non un dramma gridato, ma un film fatto di silenzi, sguardi, attese, che restituiscono la violenza sottile della separazione e la sua eco nella mente di un figlio.
La trama è semplice e spietata: Marta e Guido, due genitori ormai distanti, si contendono l’affidamento del piccolo Andrea. Nei corridoi dei tribunali e negli incontri con psicologi e assistenti sociali, la tensione cresce, ma Capuano non cerca mai lo scontro plateale. Preferisce soffermarsi sul non detto: un gesto mancato, un silenzio imbarazzato, uno sguardo che pesa più di mille parole.

Il vero centro emotivo resta Andrea. Attraverso i suoi occhi, la storia si trasforma in un viaggio sospeso tra realtà e immaginazione: i suoi disegni, i suoi desideri semplici (come il sogno di avere un pappagallo per poter parlare con qualcuno che lo ascolti), diventano metafore di un bisogno disperato di stabilità. L’isola del titolo non è solo un luogo, ma lo spazio interiore dove il bambino cerca rifugio.
La regia di Capuano è essenziale, quasi pudica. Le inquadrature strette e la fotografia naturale restituiscono la claustrofobia di stanze e tribunali, contrapposta a momenti di libertà visiva quando la fantasia di Andrea prende forma. È un cinema che non alza la voce, ma che sa colpire nel profondo.

I punti di forza risiedono nella recitazione intensa dei protagonisti, nella capacità di Capuano di alternare crudezza e poesia, e nell’uso calibrato della musica, che accompagna i momenti più intimi senza mai soffocarli.
Non mancano però zone d’ombra: il ritmo lento e contemplativo potrebbe scoraggiare chi cerca una narrazione più lineare e immediata. Alcune scene, volutamente sospese, lasciano aperte domande senza offrire risposte, con il rischio di frustrare parte del pubblico.
Eppure, è proprio in questa incompiutezza che il film trova la sua verità. L’isola di Andrea non offre soluzioni né condanne: mostra la vita com’è, piena di fragilità, paure e piccole fughe verso la fantasia. Un cinema che mette a nudo le crepe delle relazioni umane e affida a un bambino il compito di ricordarci quanto dolore e bellezza possano convivere nello stesso istante.
