A House of Dynamite: venti minuti per la fine del mondo

Kathryn Bigelow torna al cinema con un thriller politico in tempo reale, dove la paura nucleare diventa esperienza collettiva e incubo quotidiano

a cura della Redazione

Dopo otto anni di silenzio, Kathryn Bigelow riemerge sul grande schermo con A House of Dynamite, presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. È un film che non concede tregua: un racconto serrato, costruito in tempo reale, che segue i venti minuti più lunghi della storia, quelli in cui un missile nucleare – di provenienza ignota – minaccia di abbattersi su Chicago.

Il cuore del film pulsa nella Sala Situazioni della Casa Bianca, dove il Presidente, interpretato da Idris Elba, e la sua squadra – con Rebecca Ferguson e Jared Harris in ruoli chiave – affrontano il conto alla rovescia con un misto di strategia, panico e disperazione. La regia asciutta e implacabile di Bigelow accentua la claustrofobia: niente eroismi spettacolari, solo esseri umani intrappolati in un meccanismo più grande di loro, che tentano di prendere decisioni impossibili mentre il tempo scorre inesorabile.

La forza di A House of Dynamite non sta soltanto nella tensione narrativa, ma nella capacità di rendere universale la paura: vediamo figure istituzionali che, dietro la facciata del potere, cercano di telefonare ai propri cari, scrutano i volti dei colleghi, si interrogano sulla fragilità dell’ordinario. Il film diventa così un’esperienza corale, dove l’apocalisse non è spettacolo ma quotidianità, e dove la minaccia atomica smette di essere astrazione per trasformarsi in presenza concreta.

Bigelow orchestra questo incubo con rigore quasi documentaristico, spingendo lo spettatore dentro una realtà che appare tanto lontana quanto vicinissima. È un cinema che non consola: A House of Dynamite non offre soluzioni, non cerca catarsi, ma mostra con lucidità come l’inimmaginabile possa irrompere nella vita di tutti, costringendoci a fare i conti con la vulnerabilità del nostro tempo.

Con questo film, Bigelow non solo conferma la sua maestria, ma consegna un’opera necessaria: un monito feroce in un’epoca che tende a dimenticare quanto fragile sia la distanza tra normalità e disastro.

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