C’è chi associa Frankenstein a bulloni, fulmini e castelli in rovina. Ma a Venezia 82, Guillermo del Toro ha ribaltato ogni cliché, offrendo una visione che ha poco a che vedere con l’horror di tradizione e molto con la poesia visiva. Il suo nuovo Frankenstein è un’opera monumentale che mescola estetica barocca, introspezione psicologica e una raffinatezza stilistica degna delle passerelle più ambiziose.
L’anteprima mondiale si è trasformata in un vero evento mondano e cinematografico: 13 minuti di standing ovation, il più lungo applauso di questa edizione, hanno consacrato l’opera tra le più discusse della stagione. Il pubblico è rimasto rapito dall’atmosfera sospesa, dal ritmo ipnotico delle immagini e da una fotografia che scolpisce ombre e bagliori come fossero tessuti pregiati. Non un semplice film, ma un’esperienza sensoriale totale.
Il fascino della Creatura
Al centro di questa rinascita c’è Jacob Elordi, che presta alla Creatura un volto inedito: non un mostro spaventoso, ma un’anima tormentata e fragile. Elordi incanta con uno sguardo che racconta più di mille parole, trasformando l’icona gotica in un personaggio quasi romantico. Accanto a lui, Oscar Isaac regala un Victor Frankenstein intenso, ossessivo, elegante nella sua follia, come un designer incapace di fermarsi davanti alla propria opera incompiuta.
La mano di Del Toro
Guillermo del Toro conferma il suo talento di artigiano della meraviglia: ogni scena è una tavola pittorica, ogni dettaglio un simbolo. La regia alterna grandiosità e intimità, come un abito di haute couture che stupisce da lontano e seduce da vicino. Non mancano i momenti in cui la narrazione rischia di perdersi tra estetismi e lentezze, ma persino questi difetti contribuiscono a dare al film l’aura di un’opera ambiziosa, destinata a dividere.
Tra cinema e lusso
Questo Frankenstein non è solo un film, è un esercizio di stile. Le scenografie, con i loro interni sontuosi e le atmosfere decadenti, dialogano con il mondo del design e della moda. I costumi, ricchi di dettagli, sembrano usciti da un archivio di maison storiche, tra velluti, broccati e silhouette drammatiche. Perfino il trucco e la fotografia riflettono un’idea di lusso oscuro, un’estetica che seduce e respinge allo stesso tempo.
Le critiche
La stampa si è divisa: da un lato chi ha gridato al capolavoro per la bellezza visiva e l’intensità emotiva, dall’altro chi ha sottolineato una certa mancanza di tensione narrativa e un eccesso di manierismo. Ma forse è proprio questa ambivalenza a renderlo interessante: come una collezione di alta moda, non pensata per piacere a tutti ma per lasciare il segno.
Un’eredità rinnovata
Con Frankenstein, Del Toro non si limita a raccontare la storia di un uomo e della sua Creatura: propone una riflessione sulla fragilità umana, sul desiderio di perfezione e sull’accettazione del diverso. Una fiaba nera che, dietro l’estetica scintillante, porta con sé un messaggio universale.Al Lido, il mito gotico ha trovato la sua versione più elegante. Un Frankenstein che non si limita a vivere: brilla, emoziona e divide. Come il vero lusso sa fare.
