Fenomenologia-soft del Paparazzo

«Ora dovremmo mettere a questo fotografo un nome esemplare perché il nome giusto aiuta molto e indica che il personaggio “vivrà”. Queste affinità semantiche tra i personaggi e i loro nomi facevano la disperazione di Flaubert, che ci mise due anni a trovare il nome di Madame Bovary, Emma.

Per questo fotografo non sappiamo che inventare: finché, aprendo a caso quell’aureo libretto di George Gessing che si intitola “Sulla riva dello Jonio” troviamo un nome prestigioso: “Paparazzo”. Il fotografo si chiamerà Paparazzo. Non saprà mai di portare l’onorato nome di un albergatore delle Calabrie, del quale Gessing parla con riconoscenza e con ammirazione. Ma i nomi hanno un loro destino» Ennio Flaiano.

Che i nomi abbiano un destino è proprio vero, e quello di Paparazzo, ahimè, magari non sarà fra i più lieti, ma di certo lungo… forse, Infinito.
Quando sentiamo il termine paparazzo, la nostra mente rimanda subito agli occhi l’immagine di un buffo omino sudaticcio, con berretto e gilet, pantaloni color cachi, sciarpa e macchina fotografica. Lo vediamo nascosto dietro un’automobile, su di un tetto, aggrappato ad una scala antincendio… lo vediamo sbucare da una finestra, premere un grilletto ed iniziare a mitragliare di scandolose fotografie la povera vittima.
Pochi di noi però, sanno che il termine deriva da un nome proprio di persona, anzi, di personaggio, quello de La Dolce Vita di Fellini, che per l’appunto di mestiere faceva il fotogiornalista e di cognome Paparazzo.

Sono molte le versioni della storia che portò il geniale Federico a scegliere quel termine come Cognome del personaggio del suo film, la più attendibile è quella sopracitata e confermata da Flaiano, ma in realtà pare che sia stato lo stesso regista a divertirsi con il tempo a dare ogni volta una Nuova versione.

Un altra, tra le moltissime, è che sia stata la sua adorata compagna di vita, nonché attrice, Giulietta Masina a suggerirgli quel termine creato da lei stessa addizionando la parola pappataci (zanzare) alla parola ragazzi, proprio per sottolineare l’attività petulante, invisibile e fastidiosissima che questi giovani fotografi compivano per vivere.

Il capostipite del genere dei paparazzi sembra essere stato un fotografo romano, tale Adolf o Porry Pastorel, autore di molte foto di successo scattate al Duce e alle sue attività durante il Ventennio Fascista.

In assoluto, ad oggi, essendo ancora vivente, il paparazzo più famoso al mondo è uno Statunitense di origini Italiane, conosciuto come Ron Galella, noto per essere stato il fotografo preferito del superbo Andy Warhol.

Galella in circa quarant’anni di carriera ha scattato più di 3.000.000 di fotografie ritraenti Divi e Dive del mondo dello spettacolo, della politica e dello sport.

Nella sua lunghissima carriera, Galella, si procurò moltissimi problemi giudiziari con alcune personalità molto note, che lo attaccarono legalmente e fisicamente. Tra queste ricordiamo Jacqueline Kennedy che lo portò in tribunale vincendo la causa nel 1972, e venne obbligato a mantenere da lei una distanza di cinquanta piedi, quindici metri circa.

Un altro divertente episodio che lo ritrae in “contrasto” con un famoso Divo, fu il celebre cazzotto che il 12 Giugno del 1973 Marlon Brando gli sferrò rompendogli la masciella. Questa volta fu Ron ad avere la meglio ed ottenne dal famoso attore 40.000 dollari di risarcimento.
Da quel giorno Galella continuò a seguire e paparazzare Brando, ma sempre e solo con indosso un casco da Football americano.

Ed ecco a voi cari lettori qualche stuzzicante curiosità sul mondo dei paparazzi, un ambiente per fortuna o per disgrazia in via di estinzione. Le cause dell’emminente decesso della sopracitata specie sono, comprensibilmente, i Social e La Nuova Comunicazione, anche definita Self Comunication, in cui sono gli stessi soggetti delle foto a scattare da se la rara immagine che li ritrae in eventi mondani, in abbigliamenti stravaganti, in attimi di riflessione, in strambe pose sgraziate e in compagnia dei nuovi amanti…

Nulla è più segreto, nulla è più nascosto… non c’è più spazio per il pettegolezzo, non è più l’Era del Voyeur…. ora tutto è ben riposto in vetrina, l’immagine è nelle furbe mani di quel Divo e di quell’altro…. che con intelligenza e cautela ritagliano di se solo l’identità più conveniente.

di (Giulia Betti)

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