Tutto ciò che puoi immaginare è Barcellona

Kilometri accumulati: incalcolabili. Persone incontrate: cifra impossibile da quantificare. Litri di acqua consumati: tanti! Cronaca di quattro giorni a base di tapas, scarpe che macinano passi su passi, occhi che saettano da un punto all’altro per cercare di osservare tutto quello che vorrebbero, e  fotografie scattate in modalità compulsiva, per non dimenticare neanche un centimetro della capitale catalana.

Carlos Ruiz Zafón l’ha raccontata nei suoi libri con quell’amore privo di retorica che solo gli autentici “catalanes” possiedono, regalandole un posto d’onore nella letteratura. Pablo Picasso l’ha scelta per trascorrerci l’adolescenza e da lei ha imparato il valore della libertà e della creatività non convenzionale; Antoni Gaudí le ha donato i suoi gioielli più preziosi, consacrandola come la città dove il genio, l’arte e la fede possono fondersi senza rubarsi la scena ma anzi, creando qualcosa che non trova eguali nel mondo. Uno scrittore che ha riscritto le regole scegliendola come indiscussa capitale del romanzo gotico spagnolo e due artisti immortali l’hanno resa la città unica, magica e un po’ folle che tutti conosciamo: Barcellona.

Monumenti come la Sagrada Familia, il Montjuïc e Plaza d’Espanya, Casa Batlló e La Pedrera, le Cattedrali, i musei dedicati ad alcuni degli artisti più celebri del pianeta; tutto questo, per Barcellona, è il lasciapassare per la fama “convenzionale”, quella che ti fa entrare a pieno titolo nei libri di storia dell’arte, di architettura e design, nelle guide turistiche. Ma la capitale catalana è molto di più, e sono le stesse persone che incontri nelle lunghe passeggiate giornaliere a ricordartelo.

Plaza Catalunya, primo pomeriggio in quel di Barcellona. Le nuvole sfrecciano nel cielo di agosto, nascondendo il sole. Sono circondata da un muro di palazzi alti, eleganti e sfacciatamente imponenti, al cui interno si trovano uffici e negozi favolosi. Camminando a metà tra l’intimorito e l’ammirato, armata solo di macchina fotografica, nel bel mezzo dei giardini, tra fontane, turisti e venditori ambulanti, mi imbatto in una ragazza che, in questa città ubriaca di voci e rumori, se ne resta immobile, in silenzio. Lei osserva, il suo sguardo è mite, l’aria tranquilla, e istintivamente ti ritrovi a osservarla: “Hugs for free”. Mi ricordo di quel movimento, quello degli abbracci gratuiti, forse anche a Milano avevo visto qualche temerario, che aveva provato a sfidare la proverbiale distanza dei meneghini. Sei combattuto. Ti ritrovi nel bel mezzo di una metropoli immensamente affollata, nella sua piazza principale, brulicante come un formicaio, tra milioni di turisti in visita per shopping, arte, movida, mare. E lei è sempre lì, con il suo invito: “Hugs for free”. Non la conosci, non l’hai mai vista prima e probabilmente non la rivedrai mai più, ma poi un ragazzo passa e nella fretta, nel bel mezzo del flusso ininterrotto di persone, trova quel minuto per abbracciarla. Sono sicura che, mentre mi guardava avvicinarmi, lei sapesse che per me era la prima volta. Un abbraccio, gratuito, un sorriso, altrettanto gratuito, nessuna parola. “Benvenuta a Barcellona e buon proseguimento”. Mi piace pensare che ci siamo dette questo, una sorta di augurio, prima di affacciarmi sulle Ramblas e percorrerle fino al mare.

Il lungomare di Barcellona dà il meglio di sé in quell’ora benedetta che precede il tramonto, dove tutto sembra colorarsi di oro liquido. Dal lusso e dall’eleganza degli yacht ormeggiati al porto vecchio, si passa al lungomare della Barceloneta, tempio della street music e degli sportivi. Mentre sulla spiaggia ci si rilassa tra un bagno e una birra gelata, sul lungomare si fa la fatica vera. Passeggiare tranquilli, scattando foto e respirando quell’aria meravigliosa e che, provocatoria, profuma di relax e “vacanza da una vita”, non è impresa facile, qui, dove sfrecciano ciclisti, runners, skaters e patiti dei rollerblade. Eleganti completi e tailleur prima, caschetto e ginocchiere poi; la trasformazione è completa, il lungomare ci aspetta, e l’infinità del Mediterraneo è solo l’ennesimo invito a godersi la vita, che sia dimenticandosi la tensione di una giornata passata a combattere in ufficio o abbronzandosi languidamente sotto gli ultimi raggi di sole. E per sentirmi meno in colpa, di fronte a tutte queste persone più brave di me a mantenere la costanza per raggiungere un’ottima forma fisica, è bastato pensare ai kilometri accumulati in quattro giorni e alla fatica fatta dalle mie gambe. No pain, no gain!

Se la bellezza e la magnificenza dei monumenti e del centro di Barcellona sono innegabili, altrettanto vero è che il turismo di massa ha portato il suo carico di omologazione, andando in parte a inquinare l’autenticità di luoghi come il Barrio Gotico e il Raval, quartieri dall’aria “poco pulita” e in cui il fascino maledetto di Barcellona era sempre riuscita a resistere, nonostante tutto. Un’area che sembra non aver risentito di questa omologazione è, invece, quella del Tibidabo, il famoso parco divertimenti cittadino, raggiungibile solo tramite teleferica e da cui si gode una vista sulla città capace di lasciare senza fiato persino le persone dai gusti più difficili. Dopo giorni trascorsi a esplorare il centro in ogni suo angolo, passando attraverso vicoli in cui il sole sembra essere più una speranza che una realtà, e ampi viali costruiti apposta per impressionare turisti e cittadini poco avvezzi a tanta ricchezza, mi sono chiesta cos’altro restasse, a questa città, per impressionarmi e sorprendermi del tutto. Un viaggio nel tempo! La modernissima metropolitana e un vecchio tram blu si guardano l’un l’altra, all’entrata dell’Avenida del Tibidabo, e un solo mio passo potrà decidere se lasciarmi nel 2015, oppure portarmi indietro, ai fasti degli anni ’30, quando qui vivevano nobili e ricchissimi industriali. Mi siedo sui sedili del tram e in un attimo intorno a me scorrono splendide ville, seminascoste da siepi e cancelli, immerse nel verde e nella tranquillità. Il caos del centro qui non è mai arrivato. Mi piace immaginarmi indietro di quasi un secolo, seduta su quello stesso tram blu, a osservare quelle ville che lentamente prendono vita. Risaliamo lungo tutta l’Avenida, fino ad arrivare all’imboccatura della Teleferica costruita per raggiungere il parco dei divertimenti. Nascosta dietro una curva e una coltre di alberi, arbusti e prati, troneggia la villa che, nella mia immaginazione, è sempre stata quella in cui Carlos Ruiz Zafón ha ambientato il suo romanzo “Las luces de Septiembre”; l’aria quasi stregata, i colori freddi, le imposte chiuse da molto tempo. In una città “calda”, per antonomasia, quest’immensa villa dall’aria gelida è rimasta qui, a dominare dall’alto tutta Barcellona. Dal cielo al mare, con un solo sguardo, la città è mia; ci siamo solo noi due, io e la metropoli, stranamente silenziosa.

È il rito collettivo delle tapas; è il geco portafortuna di Parc Güell; è la fede di Gaudí, il suo amore per la natura e il suo genio impossibile da catalogare; è l’orgoglio, la fierezza e l’indipendenza di una popolazione; è una squadra di calcio che si definisce més que un club; è una jarra di sangria da bere con gli amici; è scivolare sui propri rollerblade; è una casa senza linee rette; è l’onnipresente bandiera della Cataluña; è il rumore che non diminuisce mai; è la tua faccia sconvolta che vedi riflessa in centinaia di persone, all’entrata della Sagrada Familia; è stendersi all’ombra, in un parco; è il mondo subacqueo di Casa Batlló; è il fascino decadente delle piazze incastonate nel Barrio Gotico. È la prova che le tue gambe possono fare più kilometri di quanto immagini. È contraddittoria come la vita. È l’aforisma di Picasso: “tutto ciò che puoi immaginare è reale”. È Barcellona.

 

di Martina Porzio

 

Tutto ciò che puoi immaginare è Barcellona

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