Wim Wenders. America

Si inserisce in un progetto del FAI legato alla fotografia, la mostra “Wim Wenders. America” ospitata alla villa Panza di Varese: trentaquattro foto ambientate in America tra la fine degli anni Settanta e il 2003, ammirabili fino al 29 Marzo 2015.

La mostra cade proprio nell’anno in cui verrà consegnato l’Orso d’oro alla carriera al Festival internazionale del cinema di Berlino. Sì, perché Wim Wenders non è soltanto un fotografo, ma anche un regista, un docente alla Hochschule für bildende Künste, critico cinematografico e un appassionato di musica. Il cinema, tra l’altro, gli è valso numerosi premi, tra cui la Palma d’Oro a Cannes.

Ma quel che scopriremo a Varese è il Wenders fotografo. Per lui la fotografia è rendere eterno un attimo, un momento in cui un luogo, un paesaggio –il suo principale soggetto- decide di svelarsi e di dialogare con lui e il suo obiettivo. Nei viaggi che fa per trovare i suoi ‘personaggi’ – così considera i paesaggi- si lascia guidare dall’intuizione: “Ho sviluppato una specie di sesto senso per i posti interessanti. A volte riesco addirittura a sentire l’imminenza dell’incontro prima che avvenga”.

“Nel cinema, il narratore sono io. […] Quando fotografo invece, […]non racconto, piuttosto sono pronto ad ascoltare. Questi luoghi da cui sono attratto (ed è esattamente questa la ragione del loro fascino) hanno un sacco di cose da dire”: attraverso le sue fotografie, le immagini di paesaggi abbandonati e desolati, Wenders riesce a trattare grandi argomenti come la memoria, il tempo, la perdita, la nostalgia e il movimento. Troviamo anche delle parole ad accompagnare le opere: “ … sono una sorta di haiku, […] una sorta di aiuto alla lettura”.

E riguardo all’annosa questione ‘ digitale o analogico?’, il regista si schiera a favore di quest’ultima. Infatti: “Questo per me è l’incubo supremo! […] Come si può ascoltare l’esile voce di un luogo e guardare già il risultato di quella “conversazione intima”! L’ultima cosa che voglio è vedere l’immagine che sto inquadrando!”. E ancora: “ È qui che viene meno il mio entusiasmo per la tecnologia digitale: per quanto mi piaccia nel cinema (dove cerco di utilizzarne le applicazioni più all’avanguardia, se possibile), la detesto nella fotografia”.

Insomma, quella di Varese è una poesia per immagini.

Consigliata.

di Irene Brunetta

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