Giovanni Gastel – Un racconto fotografico

 

Uno studio nel cuore di Milano e una scaffalatura infinita, che arriva al soffitto, di libri che raccontano la storia, la poesia e l’arte nel mondo. Così ci accoglie Giovanni Gastel nel suo studio in via Tortona per raccontarsi a tu per tu rivelando passioni, manie e progetti futuri.

Dall’attaccamento alla Sicilia, le amicizie e i primi amori per arrivare a scoprire com’è nata la passione che lo ha reso famoso in tutto il mondo regalando alla storia della fotografia mostre e libri che segnano l’era di questa arte made in Italy.

 

Quando è nata la passione per la fotografia?
Per caso, da ragazzo scrivevo poesie e pensavo sarebbe stata la mia professione. Poi a 16 anni stavo con una ragazza che odiava quello che scrivevo e che invece mi ha spinto a proseguire sulla strada della fotografia. E’ stato un amore di rimbalzo, anche se poi l’ho amata, adorata e lo faccio tutt’ora. La ragazza poi se n’è andata e io le ho dedicato uno studio che si chiamava Alexandra Studio.

Come nasce l’idea per uno shooting?
Sicuramente dallo studio. Io studio sempre e ho preso da Luchino Visconti, il fratello di mia madre, il metodo con cui lavorava, la sua forte adesione al progetto e la serietà con cui si approcciava al lavoro. Anche se al momento dello scatto lo studio non influenza ciò che faccio, perché quell’attimo è una questione di nervi, ha un influsso sicuramente sul momento in cui decido se ciò che ho fatto mi piace. All’inizio quando sai poco ti piace tutto, ma più studi e osservi più il momento in cui sei soddisfatto pienamente di ciò che hai fatto è lontano.

Quindi la foto perfetta deve ancora arrivare?
Il sogno è sempre questo. Oggi vai a casa infelice, ma con il sogno di riuscire a farla il giorno dopo e ottenere la foto definitiva, quella che ti darà la pace

In un’intervista ti sei definito un “artigianone”, così definiresti tutti i fotografi?
Assolutamente no, solo me stesso. Mi rivedo nella figura dell’artigiano nella sua accezione rinascimentale, la figura dell’artista maledetto che beve e poi crea meraviglie non mi piace. Io mi riconduco alla figura dell’uomo che costruisce con serietà e metodo.

E in questo senso che rapporto hai con la tecnologia?
Una volta quando giocavo a tennis mi hanno detto “E’ il braccio, non la racchetta”. Con la fotografia è la stessa cosa, i mezzi nuovi contengono un’estetica nuova tutta da scoprire, ma ciò he conta è la testa con cui li si usa. Anche Photoshop è un mezzo meraviglioso, ma quando lo usano per far diventare le donne di gomma perde questa accezione.

Un fotografo da cui hai imparato o avresti voluto imparare?
Io sono un autodidatta purtroppo, e dico così perché diversamente i tempi sarebbero stati un po’ più corti. Ho cominciato a vedere fotografie vedendo Vogue e Harper’s Bazaar che comprava mia madre e sono stato folgorato dalla fotografia di Irving Penn che è in assoluto il mio padre spirituale.

C’è un fotografo emergente che consiglierebbe e cosa gli direbbe per proseguire questo percorso artistico?
Ci sono molti giovani promettenti, due su tutti Gianluca Cisternino e Federica Lazza. A loro insegno che il segreto è cercarsi, ognuno di noi è un miracolo ed è dotato di un’unicità irripetibile. Scavare dentro si sé è doloroso alle volte perché bisogna anche ammettere i propri limiti, ma è la strada per  trovare il proprio stile. Ogni immagine deve raccontare la personalità e lanciare il messaggio di chi l’ha scattata, è una sorta di messaggio nella bottiglia da cogliere e interpretare.

Si è tenuta a Torino la sua mostra “Eleganza e femminilità attraverso l’obiettivo”. Ci racconti la sua idea di donna elegante e di eleganza in generale.
L’eleganza per me è un valore di ordine morale, non estetico. Una volta mi hanno chiesto alla presentazione di un libro, davanti a tutta la borghesia milanese, cosa intendessi con questa frase e ho risposto: “Chi è elegante per esempio non può non pagare le tasse”. E’ calato il silenzio… Quello che intendevo è che essere eleganti è un valore che si ha dentro e che solo dopo influenza l’estetica.

Gli inglesi dicono che l’eleganza è nel non essere notati. Non bisogna mai esagerare, non ho nulla contro la necessità di essere a proprio agio con se stessi, ma c’è un limite. Oggi si esagera anche con gli interventi chirurgici, ma tutto dipende da qual è l’obiettivo della tua vita. Molte donne investono solo sulla bellezza e quando questa svanisce naturalmente è drammatico perché diventa come per un attore perdere la voce. Inseguono il tentativo di non invecchiare riferendosi a un archetipo sbagliato: non la donna, ma una sua imitazione.

Il prossimo progetto destinato a stupirci?
Ne ho appena chiuso uno molto interessante. Un libro di reportage sulle eccellenze italiane meno conosciute, dagli artigiani che fanno le gondole, a quelli che costruiscono le campane fino alla scuola di danza della scala e  all’opificio delle pietre dure. E’ una raccolta che parla di un’Italia meravigliosa che continua a lavorare e a produrre. Il libro lo presento a New York fra poco e a Venezia con una grande festa alla Fenice con un concerto e un’esposizione di foto. Mi ha affascinato e confortato sullo stato generale del nostro Paese che, al di la della politica così disastrata, ha tutta questa parte straordinaria  che produce beni di eccellenza.

Arriviamo all’estate: una meta da fotografare?
Io ho una casa a Filicudi da anni e penso che quell’arcipelago sia magnifico. Ho anche fatto un reportage su questo raccontando l’isola alle persone che non  ci sono mai state scattando con una macchinetta piccola e non professionale. E’ diventato un servizio molto bello. Le Eolie e la Sicilia in generale sono fra i posti più sfolgoranti d’Italia, c’è un incrocio di culture incredibile e anche le conversazioni con i siciliani in generale sono a un livello molto alto. Consiglierei a qualche politico italiano di farci un salto…

E tu questa estate volerai alla scoperta di?
Niente, me ne vado sulla mia isola a scoprire i dettagli che non conosco. Ho passato talmente tanti anni in giro per il mondo che adesso quando penso alle mie vacanze penso a stare fermo in un posto per scrivere le mie poesie e occuparmi delle mie cose.

 

 

(di Valentina Bozzetti)

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