“Nudi e Crudi”: quando la routine è il nemico da battere

Bisogna guardare la quotidianità come un bene o un male?

Spesso una vita caotica e frenetica può disorientare, far rimpiangere i pomeriggi passati a mettere in ordine la casa, il giornale letto con calma al mattino o la cena pronta in tavola alle 20.15 in punto. Lo stesso Alan Bennett si è posto questo interrogativo quando, davanti un foglio bianco, era pronto a stendere il suo romanzo. Le pagine si colorarono di humor puramente britannico, il pubblico apprezzò a tal punto che la regista Serena Sinigaglia lo volle portare a teatro.

Il debutto di “Nudi e Crudi” al Teatro Manzoni di Milano il 24 novembre 2016 è stato un successo: gli spettatori hanno reagito positivamente alla comicità sottile e altolocata dei signori Ransome, applausi per l’espressività e l’impostazione della voce a “cantilena” di lei, e pollice in su per la rigidità e la compostezza del protagonista maschile.

Una trama semplice ma in grando di far riflettere. I coniugi Ransome vivono nella grigia Londra, lui tra impegni lavorativi e note serali mozartiane, e lei tra le mattinate trascorse al supermercato e tè bollenti preparati alle cinque. Nulla di travolgente o divertente caratterizza la loro realtà. Finchè una sera, tonando a casa, ritrovano il loro appartamento completamente spoglio: la loro vita era stata portata via.

Punto su cui focalizzarsi è la reazione differente dei due a questo evento: Rosemary (interpretata dalla splendida Maria Amelia Monti) dopo mezz’ora di pianti, realizza di poter andare lo stesso avanti, approfitta della “nudità” per mettersi in gioco e magari fare ciò che non ha mai potuto fare; Maurice Ransome (Paolo Calabresi) si irrita, vuole fuggire da questa realtà che non gli appartiene, si rifugia a lavoro e sgrida la moglie che tenta di vedere il lato positivo. Spazio scenico perlopiù spoglio, gli attori sono i soli oggetti di scena.

Non c’è comunicazione tra i coniugi, non c’è mai stato bisogno di parlare, le loro giornate erano già riempite dagli oggetti, perchè allora colloquiare? Il teatro anche questa volta ha il magico potere di far riflettere, di dare l’input e lasciare allo spettatore la facoltà di comprendere o ignorare.

di Federica Giampaolo

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