Il genio di Polanski torna con J’accuse

Polanski

Se si pronuncia il nome Roman Polanski il successo è già assicurato. Il regista premio Oscar nella sua lunga carriera ha firmato film culto come Chinatown e Rosemary’s baby. L’opera cinematografica tratta l’affaire Dreyfus, nella Francia del fine dell’Ottocento, dove la discriminazione e la persecuzione delle persone di religione ebraica era più diffusa di quanto si potrebbe pensare; è necessario ricordare che Polanski nacque nel ghetto di Varsavia e, nascosto da una famiglia cattolica, sfuggì alla deportazione che ha invece condotto suo padre a Mauthausen e ucciso sua madre nel campo di concentramento di Auschwitz. Nel 2002, da questa drammatica esperienza è sorto un capolavoro cinematografico indimenticabile: Il Pianista.

Il dramma di un’ingiustizia giudiziaria

J’accuse si rivela, come nel caso del Pianista, un film dal sostrato inesorabilmente autobiografico. Nell’ufficiale ebreo Dreyfus (Louis Garrel), ingiustamente condannato per alto tradimento, perseguitato per anni da un’accusa completamente pretestuosa, non è difficile leggere tra le righe le vicissitudini vissute del regista. Eppure, J’accuse non è certo un film che si limita ad alludere a una serie di vicende private, è piuttosto una ricostruzione storica costruita con classe e attinenza, che pure conserva quegli inaspettati, geniali lampi d’ironia derisoria che appartengono alla storia cinematografica del regista.

La trama

Il cineasta polacco con J’accuse torna a rappresentare il dramma del singolo essere umano, paragonato, in quanto a ingiustizie, al Conte di Montecristo e travolto da una colpa che non ha commesso. Ma per raccontare la tragica storia di Alfred Dreyfus, il regista sceglie il punto di vista di un altro personaggio, Georges Picquart (Jean Dujardin). Una volta eletto come nuovo capo dei servizi segreti dell’Esercito francese, Picquart scoprirà presto la verità sul caso Dreyfus.

Una condanna illegittima, priva di qualsiasi fondamento. Esistono infatti prove schiaccianti contro un diverso ufficiale, ma ormai l’ebreo Dreyfuss è diventato il perfetto capro espiatorio. La sua vita sarebbe finita così nel carcere dell’Isola del Diavolo, se il Maggiore Picquart non avesse scelto di contrastare la decisione irrevocabile dei più alti vertici dell’Arma, mettendo a rischio la propria vita e per ingaggiare una battaglia di verità e giustizia.

Un omaggio a Stanley Kubrick

Polanski nella ricostruzione storica della pellicola omaggia un altro grande del cinema, Stanley Kubrick, rimandando diverse scene al celebre Barry Lyndon. La scena del duello tra Jean Dujardin e Grégory Gadebois è un’aperta citazione del film. Gli interni grigi, fotografati dai colori esangui con una luce molto naturale, ritornano ai suoi esordi.

La splendida colonna sonora curata dal premio Oscar Alexandre Desplat, ci fa tornare indietro nel tempo e alleggerisce in alcune scene la cupezza del film. Nota di merito, le interpretazioni impeccabili di Jean Dujardin, Louis Garrel e Emmanuelle Seigner, che completano il quadro di J’accuse rendendolo un film che potrebbe aspirare al Leone d’Oro di Venezia 76. Sarà così?

 

di Emanuela Bruschi

Lascia un commento

Your email address will not be published.