Sono gli anni amari, in cui tutto sembrava possibile e non lo era

gli anni amari

Gli anni amari suonano nella mia testa come una canzone di Pino Daniele, in cui un sentimento di nostalgia accenna a quel periodo storico che, da una parte ostentava la fierezza di un’idea di vita fondata sulla libertà e, dall’altra, l’amarezza di come è andata a finire (Afferma il regista in un’intervista). A metà tra il classico film movimentista per una comunità LGBT che ci si possa rispecchiare, e il racconto di un personaggio che possa arrivare un po’ a tutti. Anche a coloro che non hanno mai avuto a che fare con quegli anni e quelle vicende, ma che vogliono lasciarsi sedurre dal racconto di un’epoca. Il regista Andrea Adriatico ha cercato di raccontare la profondità di Mario Mieli in tutte le sue sfaccettature.

“Perché si traveste? Perché il travestitismo è rivoluzionario”

Mario Mieli, classe 1952, fu un personaggio poliedrico. Milanese benestante, fu attivista, performer e provocatore, ma non solo. Fu intellettuale, scrittore, e pensatore. Dalla personalità eclettica, espansiva e aperta alla leggerezza di un essere trasformista, e allo stesso tempo socialmente aggressivo rispetto ad alcune tematiche, Mario Mieli pubblica “Elementi di critica omosessuale” nel 1977, accolto da Luigi Einaudi. Erede, come tutti noi, delle provocazioni travestitiste di Marcel Duchamp (in Rrose Sélavy) e delle serate delle Avanguardie storiche, Mario Mieli faceva spettacoli eversivi e giocava con la coprofagia.

Era un personaggio che trasmetteva un senso primario di libertà in maniera molto profonda. Che contribuì ad aprire visioni di pensiero in un’epoca, quella degli anni ’70, che metteva al centro l’identità e il ruolo della persona nel futuro. Un’epoca in cui riecheggiavano gli anni di piombo, l’uccisione di Pier Paolo Pasolini e di Francesco Lorusso. L’epoca di una generazione impegnata nelle contestazioni politiche e sociali, nell’emancipazione femminile e sessuale, ma soprattutto impegnata a far sentire la propria voce.

Note del regista

“Non è il semplice racconto ardimentoso di una stagione di lotta per i diritti LGBT. C’è lo sguardo su un ragazzo insofferente all’omologazione, sia quella – come avrebbe detto lui – “eteronormativa”, sia quella di un movimento omosessuale che dopo i primi atti rivoluzionari cercava forme di normalizzazione”. Scrive il regista Andrea Adriatico.

“Il film Gli anni amari è l’attraversamento di un’epoca, di quei vitali, difficili, creativi, dolorosi e rimossi anni ’70. È anche la rievocazione di un necessario movimento per i diritti, come quello omosessuale, che doveva inventare forme nuove per farsi riconoscere. Ed è soprattutto il ritratto di un ragazzo la cui genialità, la cui libertà interiore e la cui gioia di vivere erano troppo intense per il mondo che lo circondava”.

La libertà 

Un personaggio che trasmetteva un senso primario di libertà molto profonda. Un uomo che si rifiutava di vedere la vita attraverso un monocolo che tentasse di categorizzare infinite sfumature in “omosessualità”, “eterosessualità” “transessualità”; un uomo che denuncia una visione del mondo quasi pansessuale, molto ampia. Una dimensione di ampiezza che però porta alla vastità di un territorio in cui convivono tristezza e gioia. Possibilità di arrivare agli estremi, come l’atto suicida che detta fine alla sua vita.

Un film che racconta di un uomo che ha saputo descrivere il processo della comprensione di sé stessi. Al di là dell’omosessualità, Gli anni amari rende le infinite sfaccettature di ogni personale sessualità. “Gli anni amari sono tutto questo. Sono gli anni in cui tutto sembrava possibile e non lo era. Sono gli anni lontanissimi del nostro passato recente. Sono gli anni di un ragazzo che ha vissuto – con la sua aliena dolcezza – l’amarezza di un’esistenza simile a quella di nessun altro. Si chiamava Mario. O, se preferite, Maria.”

 

di Giulia Garattini

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