Capucci Dionisiaco, follie d’autore a Palazzo Pitti

Ci sono nomi che, nel mondo della moda, rientrano direttamente nell’empireo delle leggende. Uno di questi è, fuori da ogni dubbio, Roberto Capucci. Annoverabile fra i padri dell’alta moda italiana e tra i primi sperimentatori in assoluto degli abiti-scultura, a 87 anni Capucci non cessa di stupire.

Prova ne è Capucci Dionisiaco. Disegni per il teatro, la mostra da lui curata e in esposizione fino al 14 febbraio al Palazzo Pitti di Firenze. Una raccolta di 72 “follie”, come il couturier stesso le ha definite, ovvero di bozzetti di abiti per una fantasmagorica rappresentazione teatrale, che Capucci ha definito e implementato sin dagli anni ’90.

Protagonisti sono, come già il titolo lascia intendere, dei personaggi dionisiaci, creature dalle fattezze umane ma che, per colori e proporzioni, sembrano più appartenere ad una stirpe di stravaganti semidei.

I bozzetti lasciano trasparire l’atmosfera bacchica, caleidoscopica, i cui dettagli sono in bilico fra la geometria perfetta e la stravaganza quasi dissennata. Pietre preziose, piumaggi folti, copricapi puntuti, ali e squame. Tutto concorre a rimandare l’immagine di un corteo carnevalesco, che non si sa da dove venga né dove vada, ma sulle sorti mirabolanti del quale non ci si può smettere di interrogare.

La mostra – che vanta testi del Direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike D. Schmidt, del curatore del Museo della Moda e del Costume di Palazzo Pitti Caterina Chiarelli, della storica dell’arte e scrittrice Caterina Napoleone e del critico musicale e teatrale Giovanni Gavazzeni – ha luogo, non a caso, proprio in quella Firenze dove Roberto Capucci debuttò con tutto il suo estro nel 1951, durante la First Italian High Fashion Show organizzata dal marchese Giorgini.

Sono passati più di sessant’anni, ma ancora una volta Capucci ci regala un’esperienza di totale astrazione della realtà, proiettandoci con sapienza nel tratto e nella scelta cromatica in un’onirica opera di teatro. Vorremmo assistervi, ma l’autore gioca a tenersela per sé, stimolandoci – forse di proposito – a creare la nostra personale storia per questi bozzetti tanto peculiari. È un invito ad essere audaci e a perdersi, anche solo per un po’, nella fantasia dionisiaca.

di Martina Faralli

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