La cucina di Antonia Klugmann? Creativa, sostenibile e curiosa

ph : Mattia Mionetto

Il Friuli nel cuore e la determinazione in testa. Questi i punti di forza di Antonia Klugmann, la new entry di Masterchef 7, che ha saputo fare della sua passione per la cucina un vero e proprio credo. Dagli esordi con i turni in un ristorante di Trieste, fino ad arrivare alla giuria del reality che l’ha consacrata tra le figure di primo piano nell’ambito del food italiano. Di questi ultimi mesi invece è l’uscita del suo primo libro con Giunti Editore “Di cuore e di coraggio. La mia storia, la mia cucina” in cui la Chef, tra una ricetta e l’altra, racconta le scelte che l’hanno portata a trovare la sua strada, sicuramente non sempre facile. Ad oggi, vantando una stella Michelin, il suo ristorante a Collio riscopre i sapori della terra d’origine, tra creatività ed attenzione agli sprechi.

Il suo esordio in cucina è fra un esame e l’altro di giurisprudenza a Milano, facoltà che poi ha deciso di abbandonare per dedicarsi alla sua vera passione. Come ha fatto a capire che era proprio questo ciò di cui voleva occuparsi? Ha incontrato ostilità o appoggio da parte di amici e parenti nel corso di una scelta così drastica?

La riflessione è nata, come spesso accade, durante una crisi dovuta alla separazione dei miei genitori. Ho realizzato che i momenti in cui ero più felice erano quelli che passavo in cucina o a pensare alla cucina. Le persone che mi circondavano non mi hanno scoraggiato. Hanno capito che trovare una vocazione professionale era fondamentale per la mia realizzazione come persona e che avevo bisogno di mettermi alla prova in un ambito in cui ci fosse anche una componente creativa.

Ora può sicuramente dirsi soddisfatta e vanta una stella Michelin ottenuta nel 2014, solo pochi mesi dopo l’apertura di L’Argine a Vencò. Che cosa ha significato per lei questa inaugurazione così promettente?

La costruzione del mio ristorante è stata una prova durissima. Ricevere la stella, dopo tutta la fatica e le preoccupazioni di quegli anni, è stato bellissimo e molto emozionante. Non sono riuscita a trattenere le lacrime quando mi hanno telefonato.

Il sito del suo ristorante recita: “La nostra cucina sceglie di rimanere in una dimensione sostenibile riducendo il più possibile gli sprechi”. Ci spieghi nel concreto come attuate questo principio.

Ho scelto di costruire il ristorante in campagna, nel Collio Friulano al confine con la Slovenia. La nostra collocazione ci aiuta ad avere accesso a materie prime freschissime, alcune delle quali raccolte o prodotte da noi. La vicinanza con molti produttori e il numero ridotto di coperti ci consente di evitare gli acquisti superflui. Cerchiamo, infine, di valorizzare tutto degli ingredienti, anche quelle parti che normalmente vengono scartate. Ed è qui che la creatività è il più grande aiuto.

La cucina dell’Argine a Vencò è ricca di sapori del territorio ottenuti grazie ad un abile uso di piante e spezie, anche al loro stato più selvatico. L’ha definito “un corso di botanica applicato alla cucina”. Questo sembra avvicinarla molto al mondo e alla filosofia vegana. È così?

L’elemento vegetale è molto presente nella mia cucina. Mi sono innamorata della natura e della raccolta quando, poco dopo i vent’anni, ho avuto un incidente d’auto e sono dovuta restare a casa per un anno. All’epoca avevo già lasciato Trieste e mi ero trasferita in Friuli. La riabilitazione è consistita nel coltivare l’orto e fare lunghe passeggiate nei boschi. Nella mia cucina però sono presenti anche ingredienti animali che scelgo facendo grande attenzione ai metodi di allevamento e di pesca. Non riuscirei ad essere creativa se la mia cucina implicasse sofferenza inutili e non fosse sostenibile per la natura.

Parliamo del suo libro “Di cuore e di coraggio. La mia storia, la mia cucina”: da che esigenza nasce la scelta di raccontarsi per iscritto? E che tipo di coraggio è quello che rivendica già nel titolo?

Le ricette che ho deciso di raccogliere sono quelle che i nostri clienti hanno amato di più e hanno rappresentato un passaggio importante nella mia vita. Il modo più veloce per conoscermi è assaggiare i miei piatti. Il libro, però, è stata un’occasione meravigliosa per raccontare la nostra realtà a quelle persone che non hanno avuto ancora occasione di visitare Vencò e il Collio. Il coraggio è quello di interrogarsi per trovare la propria strada e rimanere nel tempo coerenti alle proprie scelte. Spero che dal racconto traspaia soprattutto questo: la coerenza che credo abbia caratterizzato il nostro lavoro in tutti questi anni.

Lei ha sfondato in un ambiente che, notoriamente e tradizionalmente, ai livelli più alti è padroneggiato da professionisti uomini. Ha mai incontrato difficoltà nel corso della sua carriera legate alla disparità di genere?

Sono stata fortunata e, al contrario di alcune mie colleghe, non ho dovuto affrontare situazioni spiacevoli. Inserirsi in brigate in cui la presenza maschile è prevalente non è sempre facile. La scelta di diventare imprenditrice poco dopo i vent’anni mi ha aiutato in questo senso. Penso, comunque, che la cucina sia un luogo di grande libertà. Il cliente non vede chi ha preparato il piatto. Se il cuoco è alto o basso, brutto o bello, uomo o donna. Valuta solo se il piatto gli piace o meno. La cucina è meritocratica per definizione.

E oggi, nel 2018, essere Chef donna abile e rinomata è ancora una rarità oppure il primato maschile comincia ad essere conteso?

La parità di genere non è un tema che riguarda solo la cucina. In quasi tutti i settori, specialmente in Italia, se guardiamo al vertice vediamo che gli uomini sono ancora in maggioranza. D’altra parte è relativamente poco che le donne sono libere di scegliere il loro destino e hanno la possibilità di viaggiare, studiare e fare esperienze diverse come gli uomini. Credo, quindi, sia solo questione di tempo perché si raggiunga una parità in cucina così come altrove.

Ed infine veniamo ai suoi panni di giudice. Qual è il suo primo parametro di giudizio, nonché la prerogativa imprescindibile per uno Chef degno di questo titolo?

Nelle valutazioni dei piatti che assaggio cerco sempre di essere oggettiva e non dare una valutazione alla persona che li presenta. Credo che per cucinare sia necessaria una grande curiosità. In questo come in tutti i campi bisogna avere voglia di mettersi in discussione, studiare e approfondire.

La redazione ringrazia Antonia Klugmann per la grande disponibilità!

di Gaia Lamperti

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